Prezzo esposto errato in negozio o supermercato, i diritti dei consumatori

Giorgia Dumitrascu

4 Giugno 2025 - 12:46

Bisogna accettare di pagare il prezzo più alto o si può insistere affinché ci venga applicato il prezzo esposto?

Prezzo esposto errato in negozio o supermercato, i diritti dei consumatori

Cosa succede quando il prezzo sullo scaffale non corrisponde a quello battuto in cassa? Per un commerciante può essere una svista costosa, per un cliente un diritto da far valere.

Non è solo una questione di cartellino sbagliato, la legge parla chiaro: il prezzo esposto al pubblico, se leggibile e accessibile, può vincolare il venditore e tutelare il consumatore. Una discrepanza anche minima nello scaffale di un supermercato o nella pagina prodotto di un e-commerce può trasformarsi in una controversia.

Prezzo di vendita: come deve essere indicato nei negozi e online

Come deve essere comunicato il prezzo di un prodotto? La risposta, riguarda la trasparenza commerciale e della tutela del consumatore, concetti previsti dal Codice del Consumo D.lgs. n. 206/2005.
L’art. 14 Cod. Cons. prevede che ad, ogni bene offerto in vendita– che si tratti di un mazzo di fiori in un chiosco o di uno smartphone in uno store online – deve riportare in modo chiaro, leggibile e facilmente identificabile il prezzo di vendita. Questo prezzo deve essere finale, cioè comprensivo di IVA e di ogni altro onere o imposta. In altre parole, nessuna sorpresa alla cassa.
Se si parla di prodotti preconfezionati, l’art. 17 Cod. Cons. impone che deve essere esposto anche il prezzo al chilo o al litro, per rendere più facile il confronto tra prodotti simili. È un obbligo pensato proprio per evitare inganni: se vendi fiori al pezzo, basta il prezzo singolo; ma se vendi semi al grammo, serve anche il prezzo al chilo.
Per le vendite online, prima che il consumatore completi l’ordine, il venditore deve garantirgli un’informazione chiara e inequivocabile su prezzo totale, spese di spedizione, imposte, modalità di pagamento e diritto di recesso art. 49 del Cod. Cons.. Se questa informazione manca o è ambigua, si tratta di pratica commerciale scorretta.

Quando il prezzo esposto è vincolante per il venditore

Il prezzo indicato sul cartellino o sulla pagina prodotto di un sito web è vincolante? Sì, salvo casi eccezionali, perché in base all’art. 1336 c.c.:

“L’indicazione del prezzo costituisce una proposta al pubblico: chi la accetta nei termini esposti, conclude un contratto.”

Ciò significa che se entri in un negozio e trovi un prodotto a 5 euro, il venditore è obbligato a rispettare quel prezzo, anche se poi in cassa compare un valore diverso. Solo in presenza di un errore manifesto e riconoscibile, il venditore può legittimamente rifiutarsi di vendere a quel prezzo. In questo senso la Corte di Cassazione ha precisato che nei rapporti di consumo, prevale il principio di buona fede e di affidamento legittimo che :

“La riconoscibilità dell’errore deve essere valutata in concreto, tenendo conto del contesto dell’offerta, del tipo di bene e delle circostanze di fatto. (Cass. Civ., sent. n. 5592/2016)”

Differenza tra prezzo indicato e prezzo effettivo: cosa dice la legge

Quando il prezzo indicato non corrisponde al costo richiesto alla cassa, chi ha ragione?
Come visto, ai sensi dell’art. 1336 c.c., il prezzo esposto è una proposta irrevocabile. Pertanto, il venditore è tenuto ad applicare il prezzo indicato, salvo che non dimostri l’esistenza di un errore essenziale e riconoscibile art. 1431 c.c..

“Se una lavatrice dal valore di mercato di 600 euro è esposta a 6 euro, è evidente che ci sia stato un errore di battitura o di sistema. In quel caso, il consumatore non può pretendere il bene a quel prezzo, perché l’errore è manifesto e riconoscibile da chiunque.”

Diverso è il caso in cui la discrepanza tra il valore esposto e quello richiesto sia contenuta o plausibile: in tal caso, il consumatore può far valere il proprio diritto al prezzo indicato, soprattutto se ha già manifestato volontà di acquisto (ad esempio, portando il prodotto in cassa).

“Un cliente trova uno shampoo a 3,99 euro e alla cassa gli viene richiesto 4,99 euro: in assenza di giustificazioni e cartelli correttivi, il prezzo da applicare è quello esposto.”

Prodotto in promozione e prezzo più alto in cassa: cosa fare?

Nei supermercati, le segnalazioni più comuni riguardano i prodotti in offerta che al momento del pagamento risultano al prezzo pieno. Questo accade quando i sistemi informatici della cassa non sono stati aggiornati oppure l’offerta è scaduta, ma il cartellino non è stato rimosso.
In caso di promozioni temporanee se lo sconto è visibile ma non riportato correttamente nel sistema, il cliente ha diritto all’applicazione del prezzo promozionale, almeno fino a quando l’informazione è accessibile al pubblico.
Infine, anche i dispositivi elettronici di lettura (scanner) possono generare errori. In questi casi, il riferimento resta sempre il prezzo esposto fisicamente sullo scaffale o vicino al prodotto. Lo ha chiarito anche il Ministero dello Sviluppo Economico, sottolineando che:

“il consumatore ha diritto al prezzo comunicato attraverso gli strumenti visivi di vendita”.

I diritti del consumatore e le tutele legali

Cosa può fare il consumatore quando alla cassa gli viene richiesto un prezzo più alto rispetto a quello esposto? La prima cosa è documentare il prezzo visibile: una fotografia del cartellino, dello scaffale o della schermata online è la prova più efficace. Anche lo scontrino, se emesso con un prezzo diverso rispetto a quello indicato, può fungere da riscontro oggettivo dell’anomalia.

Il passo successivo è segnalare il disguido al personale di cassa o al responsabile del punto vendita, facendo riferimento all’art. 1336 c.c. e, se necessario, all’art. 14 Cod. Cons.
Se il venditore si rifiuta, il consumatore può presentare un reclamo scritto, da inviare via PEC o raccomandata A/R, in cui richiedere l’applicazione del prezzo corretto o rimborso della differenza pagata. In caso di mancata risposta, ci si può rivolgere:

  • all’AGCM per segnalare la pratica commerciale scorretta;
  • alle associazioni dei consumatori, che offrono assistenza nella redazione dei reclami;
  • al Giudice di Pace, per controversie di valore contenuto, in forma semplificata.

Come redigere un reclamo efficace (modello)

Oggetto: Richiesta applicazione prezzo esposto – articolo 1336 c.c.

Io sottoscritto [Nome e Cognome], in data [gg/mm/aaaa], ho acquistato presso il vostro punto vendita di [luogo] un prodotto (descrizione: marca, tipologia) il cui prezzo esposto risultava essere €[xx], mentre alla cassa mi è stato addebitato l’importo di €[yy].
Ai sensi dell’art. 1336 c.c., ritengo che il prezzo esposto fosse vincolante, non potendosi configurare un errore manifesto ai sensi dell’art. 1431 c.c., stante la plausibilità del valore indicato.
In allegato documentazione fotografica e copia dello scontrino.
Con la presente, chiedo il rimborso della differenza pari a €[zz] o l’emissione di un buono di pari valore.
In difetto, mi riservo ogni tutela presso l’Autorità Garante della Concorrenza o il Giudice di Pace competente.
Cordialità,
[Firma]

Questo tipo di reclamo, inviato via PEC o raccomandata A/R, è già formalmente idoneo a interrompere i termini per eventuali azioni successive e spesso basta a risolvere la controversia.

Il prezzo sbagliato online vincola il venditore?

Nel commercio elettronico, il momento della conclusione del contratto a distanza assume un ruolo dirimente per stabilire se il venditore sia vincolato o meno al prezzo pubblicato. In linea generale, la pubblicazione del prezzo sul sito web non costituisce in automatico una proposta contrattuale vincolante.
La Cassazione ha chiarito che:

“Nelle piattaforme e-commerce, il contratto non si perfeziona nel momento in cui l’utente clicca “acquista”, bensì quando il venditore conferma l’ordine, accettando l’offerta proveniente dal consumatore.”

Tuttavia, se il venditore conferma espressamente l’ordine (ad esempio con una mail che indica “ordine confermato”), allora è obbligato a rispettare il prezzo pattuito, salvo che possa dimostrare un errore essenziale e riconoscibile ai sensi dell’art. 1431 c.c.
Questo è il motivo per cui molti e-commerce, nella prima email inviata al cliente, specificano:

“La presente non costituisce conferma dell’ordine, ma solo presa in carico della richiesta.”

Solo una comunicazione successiva, con la dicitura “ordine confermato” o “spedizione in corso”, assume valore di accettazione contrattuale. Da quel momento, il venditore non può più modificare il prezzo, salvo giustificato motivo legale.

Quando il contratto è concluso secondo il Codice del Consumo

Il Codice del Consumo, nel regolare i contratti a distanza, stabilisce una serie di obblighi informativi e formali che rafforzano la tutela del consumatore. L’art. 51 del D.lgs. n. 206/2005 prevede che il professionista sia tenuto a fornire informazioni chiare e comprensibili sul prezzo totale, comprensivo di tasse e spese aggiuntive, prima che il contratto sia concluso.

L’annullamento dell’ordine da parte dell’e-commerce è lecito?

Se il contratto non è ancora perfezionato, il venditore ha diritto di non accettare l’offerta. Lo stesso vale quando si tratta di un errore manifesto, riconoscibile dal consumatore medio, secondo l’art. 1431 c.c. Ad esempio, se un computer Apple da 2.000 euro viene venduto per errore a 199 euro. In tal caso, è lecito che l’e-commerce annulli l’ordine, in quanto l’errore è evidente e sostanziale, e il contratto non è ancora stato concluso. Invece, se l’ordine è stato confermato con accettazione esplicita, l’annullamento da parte del venditore può costituire inadempimento, salvo che egli dimostri che l’errore era così evidente da invalidare il consenso art. 1428 c.c..

È importante sottolineare che l’annullamento unilaterale da parte del venditore, se sistematico o privo di giustificazione, può costituire una pratica commerciale scorretta, come chiarito in diverse segnalazioni dell’AGCM.

Infine, se l’e-commerce incassa l’importo e poi rimborsa automaticamente senza motivare adeguatamente l’annullamento, può sorgere un contenzioso risarcitorio, soprattutto se il consumatore ha subito un danno patrimoniale (es. perdita di opportunità, acquisti accessori già effettuati).

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