Previsioni riunione Fed, nuovo no a taglio tassi? Scontro Trump-Powell, e ora c’è anche un nuovo rischio

Laura Naka Antonelli

6 Maggio 2025 - 09:43

Il presidente della Fed Powell lascerà i tassi ancora fermi, nonostante le minacce puntuali, anche di licenziamento, agitate a più riprese da Trump?

Previsioni riunione Fed, nuovo no a taglio tassi? Scontro Trump-Powell, e ora c’è anche un nuovo rischio

La Fed di Jerome Powell lascerà gli Stati Uniti di Donald Trump ancora a bocca asciutta, rifiutandosi di tagliare di nuovo i tassi di interesse USA?

Stando alle previsioni degli economisti, degli analisti e dei mercati, la risposta è affermativa: a dispetto del presidente americano che, in queste ultime settimane, ha continuato ad accanirsi più volte contro Powell, intimando alla Federal Reserve di agire presto, il banchiere centrale lascerà i tassi sui fed funds di nuovo fermi, all’interno del range compreso tra il 4,25% e il 4,5%.

Tassi Fed, a che punto siamo. Powell immobile a fronte delle continue crisi di nervi di Trump

Dopo i tre tagli annunciati nel periodo compreso tra i mesi di settembre e di dicembre del 2024, al termine della riunione del suo braccio di politica monetaria FOMC che prenderà il via oggi, martedì 6 maggio, per concludersi domani, mercoledì 7 maggio 2025, la Fed di Jerome Powell rimarrà dunque, secondo le attese, ancora ferma, come ha fatto dall’inizio dell’anno, nei primi meeting di politica monetaria che si sono susseguiti fino allo scorso 19 marzo quando, oltre all’annuncio relativo alla decisione sui tassi, la Banca centrale americana ha anche diramato il nuovo dot plot.

In quella occasione, la Fed ha aggiornato inoltre l’outlook sul trend del PIL e dell’inflazione USA, non proprio di buon auspicio.

Ben consapevole dell’elevata incertezza piombata sui mercati in vista dei dazi di Trump - annunciati successivamente, il 2 aprile 2025, nel cosiddetto Liberation Day - Powell ha deciso insomma di non muoversi, dicendolo chiaro e tondo: “La nuova amministrazione USA sta apportando cambiamenti a livello politico, ma rimane elevata l’incertezza su questi cambiamenti”. In poche parole, “non c’è bisogno di avere fretta”.

Va detto che il presidente della Fed qualcosa ha tuttavia fatto nella riunione del FOMC di marzo, decidendo di mettere un freno al piano QT, ergo Quantitative Tightening e, così facendo, sostenendo il mercato dei Treasury, ergo dei titoli di Stato USA, e la liquidità presente sui mercati finanziari, dunque anche l’economia.

Ma al presidente americano Donald Trump quella mossa non è certo bastata, in quanto non è stata accompagnata da un taglio dei tassi. E così Wall Street ha assistito a nuove crisi di nervi di Trump, che sono culminate, qualche settimana fa, addirittura nella minaccia del capo della Casa Bianca di dare il benservito a Powell.

Niente taglio tassi Fed neanche con PIL USA con segno meno?

A quanto pare, Powell terrà il punto anche stavolta, confermando lo status quo sui tassi, anche dopo il dato relativo al PIL degli Stati Uniti relativo al primo trimestre del 2025 appena reso noto, che ha riportato un segno meno, per la prima volta dal primo trimestre del 2022.

Nei primi tre mesi dell’anno il prodotto interno lordo degli Stati Uniti si è contratto dello 0,3%, più del calo dello 0,2% atteso dagli economisti interpellati da Bloomberg, innestando una decisa retromarcia rispetto al tasso di espansione annuo, pari a +2,4%, riportato nel quarto trimestre del 2024.

Ma i mercati scontano un nulla di fatto sui tassi anche in questa riunione di maggio, con una probabilità pari a ben il 99%: neanche la crescita negativa del PIL convincerà insomma Powell a esaudire i desiderata di Trump.

Ma come mai questa ostinazione a non tagliare i tassi? E quanto bisognerà aspettare prima che dal comunicato del FOMC emerga l’annuncio di una nuova sforbiciata?

In realtà, alcuni analisti hanno suggerito di prendere quanto emerso dal dato relativo al PIL USA con le pinze. In una nota scritta ai clienti, il responsabile economista di Oxford Economcis Ryan Sweet ha fatto notare per esempio che, “sebbene un declino in una fase di espansione sia inusuale, non si tratta di qualcosa che non è mai accaduto. L’economia, inoltre, non versa in una condizione di recessione ”.

Solidità mercato lavoro USA mette a rischio tagli nelle prossime riunioni della Fed

A supportare questa view ottimistica sull’economia USA, tra gli indicatori che sono arrivati dal fronte macroeconomico degli Stati Uniti, è stato sicuramente il report occupazionale USA - NFP (Non-Farm Payrolls relativo al mese di aprile, reso noto venerdì scorso, la cui solidità, non per niente, ha portato i mercati a scommettere su un nulla di fatto in questa riunione del FOMC con una probabilità ancora più alta rispetto a quanto avessero fatto dopo la pubblicazione del dato relativo al PIL (pari al 99%, rispetto al 90% precedente).

Ma c’è dell’altro: i mercati hanno rifatto i loro conti scommettendo in misura inferiore anche su una sforbiciata della Fed nella prossima riunione di giugno.

Alcuni economisti hanno annunciato di prevedere, addirittura, che Powell non taglierà i tassi addirittura fino alla riunione di settembre, se non più tardi.

Il nuovo rischio è che la Banca centrale americana non riduca insomma il costo del denaro ancora per molti mesi e riunioni a venire.

Dal rapporto relativo alle condizioni del mercato del lavoro USA è risultato di fatto che, lo scorso mese, i nuovi posti di lavoro creati nell’economia degli Stati Uniti sono stati pari a +177.000 unità, decisamente meglio del rialzo di 130.000 unità, atteso dal consensus degli analisti, a fronte di un tasso di disoccupazione rimasto invariato al 4,2%, come da attese, e un tasso di partecipazione in rialzo dal 62,5% al 62,6%.

I numeri sono stati tali da indurre non solo i mercati, ma anche diversi economisti, a ritenere che la Banca centrale americana non abbia alla fine grandi motivi per tagliare i tassi, come minimo fino all’estate, vista la solidità dell’occupazione. Tanto che il FedWatch Tool del CME ha messo in evidenza come, subito dopo la pubblicazione dell’NFP, la probabilità di una riduzione dei tassi nel meeting di giugno sia scivolata al 37%, rispetto al 55% del 1° maggio e al 61% di appena un mese fa.

Dal canto loro gli economisti di Barclays hanno scritto di ritenere che i tassi USA continueranno a non essere ridotti almeno fino a luglio, complici le attese da parte della Fed e dei mercati di ulteriori chiarimenti sui dazi che l’amministrazione Trump ha annunciato, per poi mettere in pausa. Quindi, non solo nessun taglio in questa riunione di maggio, ma neanche a giugno?

Effetto dazi Trump su inflazione USA, Fed preferisce navigare a vista

La matassa che la Fed di Jerome Powell deve sbrogliare porta un nome ben preciso: l’impatto che i dazi reciproci che la Casa Bianca ha sferrato praticamente contro tutto il punto avranno sulla crescita del PIL USA e sul dato che continua a confermarsi motivo di emicrania non solo per la Federal Reserve, ma anche per la BCE di Christine Lagarde: l’inflazione.

Inflazione che, come è risultato dalla pubblicazione, venerdì scorso, dell’indice PCE, è scesa a marzo negli Stati Uniti al 2,3%, rispetto al 2,5% di febbraio, sebbene a un valore superiore al 2,2% atteso dai mercati.

Da quel market mover si è appreso che il PCE core - che esclude le componenti più volatili, rappresentate dai prezzi dei beni alimentari ed energetici e che viene considerata il dato preferito dalla Fed - è salito del 2,6%, indebolendosi anch’esso rispetto al mese precedente, quando aveva riportato un rialzo del 3%.

Su base mensile, il PCE core ha riportato un trend invariato. Dati dunque, in un certo senso, confortanti, che hanno indicato la prosecuzione del processo disinflazionistico negli Stati Uniti.

Detto questo, il ritmo di crescita sia del PCE che del PCE core è rimasto superiore al target della Fed, pari al 2%, per l’ennesima volta. Motivo per cui Powell, non potendo ancora calcolare gli effetti inflazionistici che i dazi di Trump, una volta entrati in vigore, avranno sull’economia USA, non taglierà i tassi USA neanche stavolta e chissà ancora per quanto.

Vincent Reinhart, capo economista di BNY, ha spiegato l’attendismo del banchiere facendo riferimento a quell’errore storico che la Banca centrale americana commise, sotto il suo comando, nel 2021, (così come fece anche la BCE di Lagarde), quando si ostinò a ribadire che il rialzo dei prezzi successivo al reopening dell’economia dai lockdown imposti durante il periodo della pandemia Covid-19, sarebbe stato “transitorio”.

La realtà, come si sa bene, sconfessò Powell (e Lagarde), presentando il conto di una inflazione che, nel giugno del 2022, schizzò negli Stati Uniti fino al picco del 9,1%.

Ed è da allora che il banchiere centrale ha deciso di non commettere più quel grave errore che ha macchiato la sua reputazione (e anche quella di Lagarde). Errore che non avrebbe invece motivo di essere temuto, secondo la logica del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che, dall’inizio del suo secondo mandato, ha più volte attaccato il timoniere della Fed, accusandolo di non avere tagliato i tassi, dopo averlo insultato in diverse occasioni, continuando a tuonare contro la Banca centrale USA con l’ennesimo post di turno pubblicato su Truth Social, e non facendosi alcun problema neanche a definire Powell “loser.

Trump VS Powell, l’ultimo post contro la Fed firmato dal presidente USA

Ma, come si legge nella preview su quanto annuncerà la Fed nella giornata di domani firmata dalla divisione di ricerca di Goldman Sachs, non solo Powell, ma diversi esponenti dell’istituzione, hanno continuato a predicare cautela, motivando la prudenza, anche loro, con l’incertezza sulle conseguenze inflazionistiche dei dazi di Trump.

Così hanno scritto gli esperti del colosso di Wall Street:

Dopo il meeting di marzo del FOMC, diversi partecipanti hanno condiviso l’opinione del presidente Powell secondo cui “per il momento siamo nella posizione ideale per attendere maggiore chiarezza prima di prendere in considerazione eventuali adeguamenti della nostra politica monetaria”. La presidente Hammack ha commentato che “preferisce procedere lentamente nella giusta direzione piuttosto che agire rapidamente nella direzione sbagliata”.

Di conseguenza, Goldman Sachs ha scritto di prevedere che “ il presidente Powell ribadirà questo messaggio durante la riunione del FOMC di maggio di questa settimana ”, decidendo, di nuovo, di non muoversi.

Occhio anche al commento di Raphael Olszyna-Marzys, International Economist di J. Safra Sarasin, che ha una view più dovish sui tassi, almeno guardando al medio termine: “Sebbene l’impatto economico dei dazi e dell’accresciuta incertezza richiederà tempo prima di riflettersi sui dati, la direzione intrapresa è chiara: le prospettive stanno peggiorando. Se il tasso di disoccupazione inizierà a salire, la Fed potrebbe alla fine dover tagliare i tassi in territorio accomodante”. Detto questo, anche Olsyna-Marzys avverte che sembra probabile che la Fed “inizialmente temporeggerà, principalmente a causa dei timori circa la possibile persistenza dell’inflazione indotta dai dazi”.

Ed è inutile che Trump continui a strepitare, come è tornato a fare venerdì scorso, quando si è scagliato di nuovo contro Powell, scrivendo a caratteri cubitali NO INFLATION, THE FED SHOULD LOWER ITS RATE!!!”.

Powell continuerà a fare orecchie da mercante. Un atteggiamento forse d’obbligo, in un momento in cui si teme che le varie esternazioni di Trump stiano rischiando di mandare in tilt sia la Fed che la BCE.

Continuare a rivendicare la propria indipendenza da Washington, è, secondo Powell, vitale, per evitare che i mercati finiscano per crollare non solo a causa dei dazi dell’amministrazione USA ma anche di fronte a una banca centrale americana che, cedendo alle minacce della Casa Bianca, finirebbe molto probabilmente per perdere il controllo della situazione, non riuscendo più a espletare la sua funzione di faro: per Wall Street e la stessa economia americana.

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