Mentre Washington e Bruxelles cercano di proteggere le proprie catene del valore, Pechino trasforma le tensioni commerciali in un’arma strategica.
La guerra commerciale del XXI secolo non si combatte più con i dazi o le sanzioni dirette, ma con il controllo delle catene di approvvigionamento. In questo campo, la Cina è oggi l’attore dominante. Attraverso una combinazione di pianificazione statale, diplomazia economica e controllo delle materie prime, Pechino ha costruito una rete globale di dipendenze che trasforma la concorrenza economica in una forma sofisticata di potere geopolitico.
L’amministrazione Biden aveva introdotto la strategia dello “small yard, high fence”: proteggere un perimetro ristretto di tecnologie sensibili — come i semiconduttori avanzati per l’intelligenza artificiale — mantenendo aperto il resto del commercio. Ma Pechino ha ribaltato il paradigma. Invece di limitare l’impatto delle proprie misure, ha scelto di massimizzarlo, estendendo i controlli sulle esportazioni e accentuando la vulnerabilità dei rivali.
Il caso più emblematico è quello delle terre rare, un gruppo di 17 elementi chimici essenziali per la produzione di auto elettriche, batterie, turbine eoliche, missili e smartphone. La Cina controlla circa il 70% dell’estrazione mondiale e oltre il 90% della raffinazione.
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