Pensioni, tutto confermato: il governo sta provando ad abbassarle da gennaio 2024

Simone Micocci

31 Agosto 2023 - 10:24

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Il governo Meloni vuole tagliare (ancora) la rivalutazione delle pensioni? È una delle tante possibilità per recuperare risorse utili per la manovra.

Pensioni, tutto confermato: il governo sta provando ad abbassarle da gennaio 2024

Nei giorni scorsi vi abbiamo anticipato della possibilità che il governo Meloni possa mettere nuovamente mano alle pensioni tagliando l’importo che dovrebbe scaturire dalla rivalutazione in programma a gennaio 2024.

Ebbene, oggi sono emerse le prime conferme in quanto - come rivelato da Repubblica - sembra che il governo abbia chiesto all’Inps di effettuare delle simulazioni per capire quanto sarà possibile recuperare dal taglio dell’indicizzazione. Risorse che servirebbero per approvare un pacchetto di riforme che va dalla conferma di Quota 103 all’estensione dell’Ape sociale che potrebbe essere estesa anche alle lavoratrici in sostituzione di Opzione donna.

Una prospettiva che allerta i sindacati che già hanno manifestato il loro disappunto al governo minacciando una nuova stagione di mobilitazioni. D’altronde si tratterebbe di un taglio sul taglio visto che si andrebbe a intervenire sul nuovo meccanismo di rivalutazione introdotto con la legge di Bilancio 2023, già più penalizzante di quello ordinario.

Tagli alle pensioni, tutto confermato: le simulazioni Inps

Non sappiamo se effettivamente il governo metterà mano alla rivalutazione, contenendo ulteriormente gli aumenti derivanti dall’inflazione, ma sicuramente è una soluzione sul tavolo. D’altronde le risorse a disposizione per la legge di Bilancio sono poche e per incrementarle si potranno solamente effettuare dei tagli alla spesa pubblica.

A tal proposito, come svelato da Repubblica, l’Inps è al lavoro per capire quanto - e come - si può recuperare dall’indicizzazione delle pensioni, ossia quel meccanismo che ogni anno adegua l’importo dei trattamenti assistenziali e previdenziali al costo della vita.

Va comunque sottolineato che non è l’unico dossier su cui sta lavorando l’Inps, in questi giorni alle prese anche per valutare l’impatto che avrebbero sui conti pubblici misure come Quota 103 o Quota 41 per tutti (ma con ricalcolo contributivo).

Quanto si può recuperare dalla rivalutazione?

Lo scorso anno, complice una rivalutazione senza precedenti (8,1%), il governo ha recuperato ben 10 miliardi di euro netti, per il triennio 2023-2025, dal taglio dell’indicizzazione, 37 miliardi se si guarda al decennio 2023-2032.

A tal proposito, 4 miliardi sono già stati risparmiati per il 2024, ma potrebbero non bastare. Ecco perché il governo potrebbe nuovamente mettere mano alla rivalutazione ma per una serie di motivi le risorse recuperate saranno molte meno di quelle dello scorso anno.

Intanto perché il tasso di rivalutazione sarà più basso, pari al 5,7% secondo le previsioni del Def. Poi perché le percentuali sono già state ridotte notevolmente dalla manovra dello scorso anno e sarà complicato “sforbiciare” ancora.

Ricordiamo quanto fatto. La rivalutazione delle pensioni è disciplinata originariamente dalla legge n. 448 del 1998, con la quale è stato introdotto un meccanismo progressivo che fissa una rivalutazione:

  • al 100% del tasso di inflazione accertato sulla parte di pensione inferiore a 4 volte il trattamento minimo;
  • al 90% del tasso sulla parte di pensione tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo;
  • al 75% del tasso per la parte che supera di 5 volte il trattamento minimo.

L’ultima volta che questo meccanismo è stato utilizzato - dopo anni di blocco - è stata nel 2022, dopodiché il governo Meloni ha deciso di seguire l’esempio dei suoi predecessori limitando gli aumenti della rivalutazione, attuando il seguente sistema:

  • rivalutazione piena per gli assegni di importo inferiore a 4 volte il trattamento minimo;
  • rivalutazione parziale dell’85% per gli assegni tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo;
  • 53% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 5 e le 6 volte il trattamento minimo;
  • al 47% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 6 e le 8 volte il trattamento minimo;
  • al 37% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 8 e le 10 volte il trattamento minimo;
  • al 32% del tasso di rivalutazione per gli assegni superiori alle 10 volte il trattamento minimo.

Una stretta importante, anche perché la rivalutazione parziale viene applicata su tutto l’assegno e non solo sulla parte che supera la soglia indicata (come previsto dal sistema originario). Un nuovo taglio potrebbe essere quindi limitato a qualche punto percentuale, recuperando al massimo 1,5 miliardi di euro, anche perché sulla stretta alla rivalutazione pende la scure della Corte Costituzionale.

Tagli alle pensioni? Sindacati in rivolta

Bisogna sottolineare che la stretta alla rivalutazione rappresenta un vero e proprio taglio dell’assegno. Vero che è impercettibile visto che in ogni caso si andrà a percepire un assegno più alto rispetto all’anno prima, ma si tratta comunque di meno di quanto sarebbe dovuto spettare.

Ecco perché Uil pensioni si è già mossa affinché il taglio alla rivalutazione possa essere oggetto di valutazione della Corte Costituzionale, mentre gli altri sindacati fanno sapere al governo di non essere disposti ad accettare una nuova stretta.

A tal proposito, il 5 settembre è in programma un incontro tra sindacati e ministero del Lavoro: il tema di discussione non è la rivalutazione ma dopo gli ultimi sviluppi siamo certi che se ne parlerà. E non è un caso che Cgil, Cisl e Uil abbiano preteso la presenza della ministra Calderone (assente agli ultimi incontri).

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