Pensioni, il mancato investimento in un fondo pensione può costare caro. Ecco come hai rinunciato alla possibilità di avere 200 euro al mese.
Prendi la pensione ma ritieni che l’assegno sia molto basso? E se ti dicessi che avresti potuto avere 200 euro in più ogni mese se non avessi commesso un errore? Ormai non puoi più recuperare, per quanto esistano comunque delle soluzioni per aumentare la pensione quando già liquidata dall’Inps, dal momento che è ormai tardi per iscriversi a un fondo per la pensione.
Questo però è un monito per le nuove generazioni, alle quali il governo con una serie di misure sta cercando di far capire quanto sia importante investire nella pensione complementare proprio per non ritrovarsi nella situazione di pentirsene quando ormai è troppo tardi.
Anche un piccolo investimento mensile, infatti, può garantire un aumento rilevante della pensione futura, in grado di rendere meno severo il passaggio da stipendio a rendita vitalizia. Specialmente ora che la quota calcolata con le regole del contributivo si fa sempre più rilevante, infatti, il tasso di sostituzione (ossia la differenza che c’è tra l’ultimo stipendio e la pensione) si fa sempre più basso, pertanto avere una seconda rendita mensile può rappresentare non solo un aiuto, ma una vera e propria necessità.
Un errore, questo, che negli ultimi 30 anni è stato commesso da moltissimi italiani, anche da chi di fatto avrebbe avuto la disponibilità economica per investire una certa somma nella pensione complementare e ritrovarsi oggi con qualche soldo in più ogni mese, anche 200 euro (o persino di più ovviamente) nel caso in cui l’investimento fosse stato ben pianificato.
A tal proposito, ecco alcune considerazioni che ci aiutano a capire la convenienza di un fondo pensione, nonché quali sono - analizzando la rendita media - i risultati che un tale investimento garantisce.
Quanto si è perso non aderendo a un fondo pensione
Per capire quanto si è perso non avendo aderito a un fondo pensione, bisogna prima capire quanto si sarebbe potuto guadagnare. I dati della Covip, l’autorità di vigilanza sulla previdenza complementare, parlano chiaro: negli ultimi dieci anni i fondi pensione negoziali, quelli riservati ai lavoratori di specifici settori, hanno registrato un rendimento medio netto di circa il 2,2% l’anno. I fondi aperti e i piani individuali pensionistici (PIP) hanno fatto persino meglio, con medie tra il 4 e il 6% netto annuo, a seconda della linea di investimento scelta.
In altre parole, chi avesse deciso di destinare una piccola parte del proprio stipendio a un fondo pensione, scegliendo un profilo di rischio medio, avrebbe potuto contare su una crescita costante e superiore rispetto a quella offerta dai conti deposito o dai titoli di Stato.
Per capire meglio vediamo un esempio reale. Immaginiamo un lavoratore che nel 1995 abbia iniziato a versare 100 euro al mese in un fondo pensione bilanciato con rendimento medio del 4% annuo. Dopo trent’anni di contributi regolari, il capitale accumulato sarebbe stato di circa 80.000 euro lordi.
Applicando la tassazione agevolata prevista per la previdenza complementare, che scende progressivamente dal 15% al 9% in base agli anni di partecipazione, il capitale netto disponibile si aggirerebbe intorno ai 73.000 euro.
Convertendo questa somma in rendita al momento della pensione, e ipotizzando un tasso di prelievo prudente del 3% annuo, si otterrebbe un’integrazione di circa 200 euro netti al mese per vent’anni. In pratica, un piccolo sacrificio mensile si sarebbe trasformato in una seconda pensione da oltre 2.400 euro l’anno, stabile e garantita.
Con un profilo più dinamico, ossia con un rendimento medio del 6%, i numeri migliorano sensibilmente: il capitale finale supererebbe i 100.000 euro, con una rendita netta stimabile in 250 euro mensili. La differenza tra chi ha investito e chi no, quindi, si misura in migliaia di euro. Sarebbero stati sufficienti 100 euro al mese per costruire, nel tempo, un vero e proprio “tesoretto previdenziale” capace di cambiare il volto della pensione.
Pensione complementare, un’occasione mancata?
Naturalmente questi sono calcoli approssimativi, ma comunque realistici. Dipendono da vari fattori: i costi di gestione, l’andamento dei mercati, la durata effettiva dei versamenti. Tuttavia, la storia dimostra che la previdenza complementare ha protetto il potere d’acquisto meglio dell’inflazione e dei risparmi lasciati sui conti correnti.
E c’è un aspetto che molti ignorano: la fiscalità agevolata. I versamenti al fondo pensione (fino a 5.164,57 euro l’anno) sono interamente deducibili dal reddito imponibile, con un risparmio immediato sulle tasse. Inoltre, anche i rendimenti interni godono di una tassazione ridotta al 20%, contro il 26% applicato alla gran parte degli altri investimenti.
I fondi pensione non sono però strumenti perfetti. Ad esempio, per il fatto che il riscatto anticipato è consentito solo in alcune situazioni (spese sanitarie gravi, acquisto o ristrutturazione della prima casa, perdita del lavoro) e spesso solo parziale. Inoltre, la legge impone che almeno il 50% del montante venga convertito in rendita al momento della pensione, limitando la possibilità di prelevare tutto il capitale in un’unica soluzione.
Possiamo sostenere quindi che non aver aderito a un fondo pensione rappresenti un’occasione mancata? Sì, perché chi pur avendone la possibilità economica ha ignorato la previdenza complementare ha rinunciato, inconsapevolmente, a decine di migliaia di euro che oggi avrebbero potuto alleggerire il bilancio familiare. E purtroppo, quando si parla di risparmio previdenziale, il tempo è una variabile che non si può recuperare.
La buona notizia è che non è mai troppo tardi per cominciare. Anche chi si trova a metà carriera può ancora costruire una rendita aggiuntiva significativa: magari non da 200 euro al mese, ma comunque sufficiente a fare la differenza.
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