Pensioni di reversibilità addio, l’Inps vince in Cassazione e toglie i soldi a queste persone

Simone Micocci

21 Settembre 2025 - 09:49

L’Inps vince in Cassazione, d’ora in poi potrà negare la reversibilità molto più facilmente.

 Pensioni di reversibilità addio, l’Inps vince in Cassazione e toglie i soldi a queste persone

Nel corso dell’anno sono state emanate diverse sentenze interessanti sulla pensione di reversibilità, non tutte favorevoli ai cittadini.

Soltanto qualche giorno fa, infatti, l’Inps ha vinto un ricorso in Cassazione, negando il trattamento a una donna che chiedeva la reversibilità del padre pensionato deceduto nel 1990. Come si può immaginare, la questione è passata attraverso varie peripezie, tant’è che la pronuncia della Suprema Corte è recentissima, oltre che particolarmente importante.

Oltre a vincere clamorosamente, l’ente previdenziale ha ottenuto un precedente che può consentirgli di negare facilmente molte altre domande. Il risultato? Niente soldi a parecchi cittadini richiedenti la pensione di reversibilità (ma anche altri trattamenti), con sforzi limitati da parte dell’istituto.

La vicenda e la sentenza della Cassazione che dice addio alle reversibilità

A settembre 2025 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla pensione di reversibilità richiesta in riferimento a un decesso del 1990. Si può ben comprendere quanto sia stata complicata la vicenda, per quanto il problema di base sia estremamente semplice: la prescrizione della reversibilità.

La domanda è stata infatti presentata dalla richiedente nel 2009, 19 anni dopo la morte del padre. Ciò, insieme alle particolari condizioni della figlia, che ha faticato nella dimostrazione dei requisiti. Una situazione a dir poco caotica, in cui comunque l’ente previdenziale non ha avuto dubbi e ha negato il trattamento, correttamente in base a quanto stabilito dalla Suprema Corte. Nonostante ciò, l’Inps si è visto negare le proprie pretese nel giudizio di primo grado e in appello, temendo perciò di dover pagare la reversibilità nonostante fosse stata richiesta dopo un lungo periodo. Come anticipato, ciò non è accaduto, perché la Corte di Cassazione ha riconosciuto l’avvenuta prescrizione e soprattutto la correttezza della richiesta dell’Inps. Un risultato nient’affatto scontato come si potrebbe pensare, ma anzi fondamentale nella direzione di queste cause, per lo più incentrate su date, tempistiche e tecnicismi. Proviamo perciò a fare chiarezza.

La prescrizione della reversibilità è di 10 anni, perciò la domanda deve normalmente essere presentata entro un decennio dalla morte del proprio familiare. Ciò però non significa che eventuali istanze successive debbano essere automaticamente nulle: spetta all’Inps negare la domanda in base alla propria valutazione e opporre l’avvenuta reversibilità in un eventuale giudizio civile.

Proprio ciò che ha fatto l’ente previdenziale in questo caso, senza tuttavia precisare la data di decorrenza. Nella propria opposizione l’Inps non ha infatti indicato il “dies a quo”, nient’altro che il giorno di partenza della decorrenza della prescrizione. In altre parole, l’Inps si è limitato a spiegare che considerava corretto negare il trattamento in virtù dell’avvenuta prescrizione, senza motivare in modo specifico e particolare.

Un problema apparentemente trascurabile che ha però contribuito in maniera decisiva alle iniziali sconfitte dell’istituto. Gli Ermellini, tuttavia, hanno considerato corretta l’opposizione della prescrizione anche se priva di indicazione del termine di decorrenza. Secondo la Cassazione spetta al giudice valutare d’ufficio la decorrenza, in base ai fatti presentati dalle parti in causa.

La corretta individuazione del dies a quo si è rivelata peraltro fondamentale nella causa, in quanto è comunque stato riconosciuto il diritto agli arretrati dei ratei non prescritti. Anche riguardo a questi, però, l’Inps ha ottenuto un ottimo risultato. Gli interessi dovranno essere calcolati dalla data di messa in mora, quindi dalla domanda amministrativa, e non dalla loro maturazione.

Più facilmente negati i soldi ai cittadini

D’ora in poi bisognerà essere molto più precisi e puntigliosi nelle richieste all’Inps. Quest’ultimo può infatti eccepire la prescrizione in modo molto più semplice rispetto al passato, senza doversi neanche preoccupare di indicare la decorrenza e quindi verificare in modo preciso i termini.

Le caratteristiche restano comunque le stesse, vale a dire il termine di 10 interrotto dalla domanda amministrativa, dall’avvio del giudizio e dagli altri atti notificati, ma l’ente previdenziale non dovrà più districarsi nel calcolo, non semplice quando riguardante prestazioni rateali (come la maggior parte) che hanno termini differenti.

Spetta quindi al giudice indicare sulla base degli elementi forniti in giudizio quali ratei sono dovuti e quali prescritti, motivo per cui nel ricorso contro l’istituto servirà allegare in modo puntuale tutta l’attività svolta per interrompere la prescrizione.

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