Addio reversibilità, ora l’Inps può toglierla a queste persone

Simone Micocci

22 Ottobre 2025 - 17:36

Prescrizione della reversibilità, la sentenza della Cassazione favorisce l’Inps. che adesso può negarla a chi presenta domanda in ritardo.

Addio reversibilità, ora l’Inps può toglierla a queste persone

Negli ultimi mesi la Corte di Cassazione ha emesso diverse sentenze destinate a cambiare le regole sulla pensione di reversibilità, non sempre però a vantaggio dei cittadini. L’ultima, arrivata a settembre 2025, ha fatto molto discutere: l’Inps, infatti, ha vinto un ricorso in cui una donna chiedeva di ottenere la reversibilità del padre, pensionato deceduto nel lontano 1990.

Una causa durata oltre 30 anni, passata per vari gradi di giudizio, che si è conclusa con una decisione netta: nessun diritto alla pensione, perché la domanda era arrivata troppo tardi.

Un verdetto che a prima vista può sembrare scontato, ma che in realtà segna un punto di svolta importante. La Suprema Corte ha infatti riconosciuto all’Inps la possibilità di eccepire la prescrizione in modo molto più semplice rispetto al passato, senza neanche dover specificare da quando decorrono i termini.

Questo significa che, d’ora in avanti, ottenere la reversibilità sarà più difficile per chi presenta la domanda dopo anni o con documenti non perfettamente completi. Una decisione che, quindi, non riguarda solo il caso specifico, in quanto crea un precedente favorevole all’ente previdenziale, destinato a incidere su molte altre richieste pendenti.

In altre parole, il rischio adesso è che molti cittadini vedano svanire la possibilità di ricevere arretrati o trattamenti familiari, anche quando convinti di averne pieno diritto.

Cosa hanno deciso i giudici

A settembre 2025 la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso che, a prima vista, poteva sembrare marginale ma che in realtà ha un peso notevole per molti cittadini.

Riguarda una domanda di pensione di reversibilità presentata nel 2009 da una donna il cui padre era deceduto nel 1990 (qui le regole per i figli che vogliono beneficiarne). Diciannove anni di distanza tra il decesso e la richiesta: un ritardo che ha reso la questione inevitabilmente complessa.

L’Inps, infatti, fin dall’inizio, aveva negato la prestazione invocando la prescrizione del diritto, ma i primi due gradi di giudizio avevano dato torto all’istituto, aprendo la strada al pagamento della reversibilità. Solo con la sentenza della Cassazione, arrivata nel 2025, l’Inps ha ottenuto ragione, vedendo riconosciuta la validità della prescrizione e la correttezza del proprio operato.

Un passaggio tutt’altro che scontato, perché la questione ruotava intorno a un aspetto tecnico ma rilevante: la decorrenza del termine di prescrizione, il cosiddetto dies a quo. Nel suo ricorso, infatti, l’Inps si era limitato a eccepire la prescrizione senza specificare il giorno da cui cominciava a decorrere, limitandosi a dichiarare che il diritto era ormai estinto.

Una mancanza che era costata due sconfitte nei precedenti gradi di giudizio, ma che la Suprema Corte ha invece ritenuto irrilevante. Secondo gli Ermellini, infatti, spetta comunque al giudice individuare d’ufficio il momento iniziale della prescrizione, valutando gli elementi forniti dalle parti. In altre parole, non è necessario che l’Inps indichi con precisione la data di decorrenza per opporre validamente la prescrizione.

La decisione è importante anche per un altro aspetto: la Cassazione ha stabilito che, pur riconoscendo alcuni ratei arretrati non prescritti, gli interessi devono essere calcolati solo dalla data della domanda amministrativa, e non dalla maturazione dei singoli importi. Un dettaglio che riduce notevolmente gli importi dovuti ai richiedenti e che rappresenta un ulteriore successo per l’istituto previdenziale.

Così l’Inps potrà negare i soldi ai familiari superstiti

La decisione della Cassazione segna un cambio di passo importante nei rapporti tra cittadini superstiti e Inps. D’ora in avanti, infatti, chi presenta una richiesta di pensione di reversibilità o di arretrati dovrà essere molto più attento e preciso, perché l’istituto potrà eccepire la prescrizione con maggiore facilità rispetto al passato.

L’Inps non sarà più obbligato a specificare il giorno da cui decorre il termine di prescrizione ma potrà limitarsi a sostenere che il diritto è ormai scaduto. Sarà poi il giudice, sulla base della documentazione fornita dalle parti, a stabilire da quando decorre il termine e quali ratei siano effettivamente prescritti.

Le regole di base, però, restano invariate: il diritto alla reversibilità si prescrive in 10 anni, un periodo che può essere interrotto solo da una domanda amministrativa, dall’avvio di un giudizio o da altri atti formali di interruzione. Tuttavia, la semplificazione introdotta dalla sentenza rende più difficile contestare l’Inps, perché l’onere di provare l’interruzione della prescrizione passa in gran parte al cittadino.

A tal proposito, chi decide di presentare un ricorso dovrà documentare in modo minuzioso ogni passaggio, dimostrando quando e come ha tentato di interrompere la prescrizione. In caso contrario, il rischio è di vedere respinta la propria richiesta senza che l’Inps debba nemmeno entrare nel merito del diritto alla prestazione.

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