Pensioni, regole più severe nel 2024? Ecco perché è una possibilità concreta

Simone Micocci

15 Maggio 2023 - 09:49

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Pensioni Inps, perché il 2024 rischia di portare con sé regole più severe per il pensionamento (nonostante la conferma probabile di Quota 103).

Pensioni, regole più severe nel 2024? Ecco perché è una possibilità concreta

C’è il rischio che il 2024 preveda delle regole più severe per il pensionamento. Molto dipende da cosa il governo Meloni riuscirà a fare sul fronte riforma ma, come spiegato più volte, oggi non sembrano esserci le condizioni per stravolgere la legge Fornero.

Le ultime notizie sulle pensioni ci dicono esistono alte probabilità che il governo prosegua con Quota 103 per un altro anno; tuttavia, lasciare le cose come stanno non risparmierà dal peggioramento delle regole per l’accesso alla pensione di cui sopra anticipato. Questo perché nel frattempo l’inflazione corre e l’aumento dei prezzi avrà conseguenze anche su chi ha in programma di andare in pensione.

Senza una riforma che preveda maggiori misure di flessibilità, al netto di Quota 103, ci sono lavoratori che rischiano di dover rinunciare al proprio piano di pensionamento per la mancanza di un importante, ma spesso non noto, requisito: si tratta di quello economico, richiesto a coloro che hanno iniziato a lavorare, e quindi a versare contributi, dopo il 1° gennaio 1996, data che ha segnato il passaggio da sistema di calcolo retributivo a contributivo.

Cosa vuole fare il governo per le pensioni

Come confermato più volte dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a oggi non ci sono le condizioni per pensare a una riforma delle pensioni che stravolga l’attuale sistema, e sarà così fino a quando non ci sarà un’inversione di tendenza per la situazione demografica del Paese (ricordiamo che il 2022 ha segnato il minimo storico per il tasso di natalità).

Se a ciò si somma il fatto che nel Def non ci sono risorse per le pensioni e che il confronto con i sindacati tarda a riprendere, è logico pensare che per il prossimo anno non bisognerà aspettarsi chissà che novità.

E non è un segreto che da settimane si parla con insistenza di prorogare Quota 103 - 62 anni di età e 41 anni di contributi - anche per il prossimo anno. Per il resto non sembrano esserci altre novità in arrivo, con Opzione donna che persino rischia di sparire per sempre.

Al netto di Opzione donna, quindi, tutto potrebbe restare così com’è oggi, rimandando al 2025 ogni confronto su una riforma delle pensioni, quando tra l’altro è atteso l’incremento dei requisiti dovuto all’adeguamento con le speranze di vita.

Come detto sopra, però, lasciare tutto com’è non ci risparmierà da un peggioramento delle regole per il pensionamento già nel 2023; vediamo per quale motivo.

Perché nel 2024 le regole per la pensione potrebbero essere più severe?

Mentre il governo tergiversa sulla riforma delle pensioni, l’inflazione corre con conseguenze anche sui requisiti per il collocamento in quiescenza. Ci sono infatti due opzioni di pensionamento che prevedono anche un requisito economico, legato al costo della vita, richiedendo al lavoratore di dimostrare di aver raggiunto una pensione d’importo sufficiente per vivere.

Nel dettaglio, ciò vale per la pensione di vecchiaia - 67 anni di età, 20 anni di contributi e un assegno pari o superiore a 1,5 volte l’assegno sociale - ma solo per i contributivi puri, ossia per chi ha un’anzianità assicurativa successiva al 1° gennaio 1996.

Lo stesso vale per la pensione anticipata riservata ai contributivi puri, per la quale oltre a 64 anni di età e 20 anni di contributi è richiesta una pensione pari a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale.

E dal momento che l’assegno sociale è legato al costo della vita, essendo soggetto a rivalutazione annua, l’inflazione avrà un impatto notevole per le regole di accesso alla pensione.

Basti pensare a quanto successo nel 2023, quando l’incremento dell’assegno sociale ha comportato un incremento da:

  • da 9.128,14 euro a 9.794,46 euro per l’importo minimo dell’assegno per accedere alla pensione di vecchiaia;
  • da 17.039,20 euro a 18.282,99 euro per l’importo minimo dell’assegno per accedere alla pensione anticipata contributiva.

A ciò va aggiunto l’ulteriore incremento dello 0,8% dovuto al conguaglio della rivalutazione che porterà l’assegno sociale ad arrivare fino a 6.591,26 euro, il che significa:

  • 9.886,89 euro sarà l’importo minimo per la pensione di vecchiaia;
  • 18.455,52 euro sarà quello per la pensione anticipata contributiva.

E ancora, c’è la rivalutazione 2024 da considerare. Nel Def si parla di un’inflazione programmata per il 2023 pari al 5,4%, ma non è da escludere che alla fine possa essere più alta. Ma atteniamoci alle previsioni: con un +5,4% l’assegno sociale salirebbe a 6.947,18 euro. Di conseguenza:

  • per la pensione di vecchiaia sarà richiesto un assegno di 10.420,78 euro;
  • per la pensione anticipata contributiva, invece, di 19.452,10 euro.

Se le previsioni dovessero essere rispettate, quindi, ci sarebbe un incremento di circa 535 euro annui per la pensione di vecchiaia, quasi 1.000 euro per la pensione anticipata.

Ciò vorrebbe dire che in appena due anni l’inflazione ha comportato un innalzamento della soglia per l’accesso alla pensione di vecchiaia di circa 1.200 euro, 2.410 euro per la pensione anticipata contributiva. Un innalzamento non di poco conto che rischia di rimandare i piani di tutti coloro che confidavano in un prossimo accesso alla pensione: anche perché nel frattempo gli stipendi sono rimasti fermi al palo, in quanto non legati all’indicizzazione.

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