Pensione minima a tutti, ecco cosa sta per cambiare

Simone Micocci

12 Luglio 2025 - 09:47

Può arrivare la pensione minima per tutti? Ecco cosa può cambiare con la sentenza della Corte Costituzionale.

Pensione minima a tutti, ecco cosa sta per cambiare

La pensione minima per tutti potrebbe diventare realtà. La strada verso il superamento dei limiti introdotti dalla riforma Dini sembra tracciata, con la posizione favorevole della Corte Costituzionale. Quest’ultima, con sentenza n. 94/2025, ha annullato il divieto di integrazione al minimo della pensione di invalidità previdenziale per i contributivi puri. Lo stesso divieto che al momento resta in vigore per tutti altri trattamenti pensionistici, ai quali potrebbe essere riservato un trattamento simile in caso di ricorso.

Le probabilità sono decisamente a favore dei pensionati, che possono rinnovare le speranze di un aumento, per quanto non vi siano garanzie in merito. La decisione della Consulta si riferisce prettamente alla pensione di invalidità, pertanto bisogna capire se le motivazioni che hanno spinto la Corte potrebbero estendersi anche ai contributivi puri che non arrivano al minimo vitale.

Come funziona la “pensione minima”

Di fatto non esiste una vera e propria pensione minima in Italia. Ci si riferisce con questa definizione all’integrazione al trattamento minimo, da cui però sono esclusi i contributivi puri. C’è poi l’assegno sociale, che proprio per chi ha iniziato a versare contributi successivamente alla data dell’1 gennaio 1996, prevede delle agevolazioni: la possibilità di cumulare una parte di pensione con l’assegno sociale e un limite di reddito più estensivo. Questa circostanza, che in parte compensa il limite all’integrazione al minimo, potrebbe impedire alla Corte Costituzionale di pronunciarsi analogamente alla pensione di invalidità.

La sentenza n. 94/2025 si è infatti pronunciata al riguardo, rispondendo alla contestazione dell’Inps sull’esistenza di altre provvidenze assistenziali. La Consulta ha rilevato che l’assegno sociale può essere erogato soltanto a cittadini di età superiore a 67 anni, mentre l’assegno ordinario di invalidità può essere necessario ben prima, appunto a seconda delle condizioni di salute. La Corte Costituzionale ha inoltre sottolineato che la condizione di invalidità impedisce ai cittadini di accumulare un montante contributivo adeguato, pertanto chi percepisce la pensione di invalidità non è affatto tutelato senza l’integrazione al minimo.

È quindi evidente che la decisione della Corte, che comunque si applica nel concreto alla pensione di invalidità, non può essere interpretata estensivamente. Come se non bastasse, ha pesato l’assenza di misure analoghe al diritto ai trattamenti pensionistici con un montante contributivo ridotto a 5 anni.

Si è però detto che ci sono buone speranze per i pensionati, infatti la Consulta non si limita a trattare dell’assegno sociale e delle misure assistenziali.

Ecco cosa potrebbe cambiare

La sentenza n. 94/2025 della Corte Costituzionale non si basa esclusivamente sull’assegno sociale, anche perché questo limiterebbe notevolmente le possibilità per la generalità dei pensionati. La Corte considera invece che:

“L’integrazione al minimo dell’assegno ordinario di invalidità svolge la funzione tipica delle prestazioni previdenziali, consistente nel garantire al percettore mezzi adeguati alle «esigenze di vita», secondo la previsione dell’art. 38, secondo comma, Cost.”

La Costituzione chiede infatti che ai cittadini siano assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di vecchiaia (o altre situazioni di incapacità lavorativa). Proprio sulla base di questa disposizione la Consulta giudica “irragionevole e discriminatorio” distinguere tra il sistema contributivo e quello retributivo. Le prestazioni assistenziali, peraltro, hanno una rilevanza limitata, in quanto sono richiesti mezzi adeguati alle esigenze di vita (e non i mezzi di mera sopravvivenza a cui si dedica l’assistenza sociale).

Pur confermando la sostanziale differenza tra la pensione di invalidità e altri trattamenti pensionistici, la Corte Costituzionale ha inoltre ribadito l’esigenza assoluta di garantire i mezzi di sussistenza. Ecco perché, anche se la Consulta fa espressamente una differenza tra l’assegno di invalidità e gli altri trattamenti pensionistici, questi ultimi possono auspicare in un cambiamento.

Tutto si basa sulla compensazione della mancata integrazione al minimo, che avviene essenzialmente con l’assegno sociale e l’accesso al trattamento con un montante contributivo ridotto. Se queste misure non consentono di fornire mezzi adeguati alle esigenze di vita, quindi, è fondamentale un cambiamento. Quest’ultimo potrebbe svilupparsi in modi diversi, non soltanto con l’integrazione al minimo, ma anche rivedendo i criteri dell’assegno sociale o riducendo il montante contributivo minimo. Ci sono quindi diverse possibilità per rivedere l’attuale regolamentazione dei trattamenti pensionistici, sulla scia della recente decisione ma in modo completamente diverso.

Bisognerebbe quanto meno garantire che tutti i pensionati raggiungano il minimo vitale e in ogni caso che quest’ultimo sia adeguato. A tal proposito, però, bisogna attendere eventuali giudizi sottoposti alla Corte Costituzionale o interventi legislativi, magari sulla scia della sentenza che invita a rimodulare il sistema per rispettare i diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini.

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