Pensioni prima dei 67 anni, in Italia si guarda alla condizione di salute, ai contributi e alla professione svolta. Ecco chi ci va in anticipo.
Come abbiamo avuto modo di spiegare nei giorni scorsi, sulla base dei dati illustrati dall’ultimo rapporto Inps, in Italia si va in pensione prima rispetto ai 67 anni richiesti dall’opzione di vecchiaia.
Nel dettaglio, l’età media effettiva dei pensionamenti nel 2024 è stata pari a 64,8 anni, in leggera crescita rispetto all’anno precedente a causa delle novità introdotte per tagliare gli accessi a Quota 103.
Ci sono infatti diverse misure che anticipano il collocamento in quiescenza, alcune delle quali consentono di andare in pensione persino prima del compimento dei 60 anni. Per quanto ovviamente ci sono dei requisiti da soddisfare: come vedremo in questo articolo, infatti, il nostro ordinamento tende a favorire il pensionamento in base a una serie di fattori. Si va dalle condizioni di salute agli anni di contributi, fino a coloro che per un lungo periodo hanno svolto una professione particolarmente gravosa oppure usurante.
Possiamo dire, quindi, che chi fa parte di queste categorie va in pensione prima di tutti, con l’età che ovviamente dipende dalla misura a cui si ricorre. Ma vediamo quindi chi smette di lavorare prima in Italia, e quando.
Pensione anticipata per i lavoratori con invalidità
In Italia, chi convive con una condizione di invalidità riconosciuta ha accesso a diverse forme di pensionamento anticipato, che permettono di lasciare il lavoro ben prima dei 67 anni previsti dalla normativa generale. È il caso, ad esempio, dei lavoratori con un’invalidità pari almeno all’80%, che possono accedere alla pensione di vecchiaia a 61 anni se uomini e a 56 anni se donne, a condizione di avere almeno 20 anni di contributi versati e di appartenere al settore privato. Per loro è previsto anche un periodo di attesa di 12 mesi per l’effettiva decorrenza della pensione, la cosiddetta finestra mobile.
Un approfondimento a parte lo meritano i lavoratori privi della vista, per i quali la normativa prevede condizioni ancora più favorevoli. In presenza di cecità assoluta o di un residuo visivo non superiore a un decimo in entrambi gli occhi, i dipendenti del settore privato possono accedere alla pensione di vecchiaia già a 56 anni se uomini e a 51 anni se donne. Questo diritto è riservato a chi ha perso la vista prima dell’inizio dell’attività assicurativa o a coloro che, pur divenuti ciechi successivamente, possono dimostrare almeno 10 anni di contributi maturati dopo l’insorgere della cecità. Per chi non rientra in questi criteri, resta comunque la possibilità di accedere alla pensione di vecchiaia alle stesse condizioni previste per gli invalidi all’80%, cioè a 61 anni per gli uomini e 56 per le donne, ma con un requisito contributivo più leggero, pari a 15 anni. Anche per i lavoratori ciechi, come per tutte le misure di vecchiaia anticipata legate all’invalidità, vale la regola della finestra mobile di 12 mesi.
Un’altra possibilità è rappresentata dall’assegno ordinario di invalidità, destinato a chi ha una riduzione permanente della capacità lavorativa pari almeno a due terzi. In questo caso non esistono limiti anagrafici: si può ottenere già con 5 anni di contributi, di cui almeno 3 versati nell’ultimo quinquennio. La prestazione ha durata triennale, è rinnovabile, e può trasformarsi in pensione di vecchiaia una volta raggiunti i requisiti anagrafici.
Nei casi più gravi, invece, si può accedere alla pensione di inabilità previdenziale, riconosciuta a chi si trova nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Anche in questo caso non esistono limiti anagrafici: il diritto scatta sempre con almeno 5 anni di contributi, di cui 3 versati nei 5 anni precedenti la domanda, indipendentemente dall’età anagrafica del richiedente.
Pensione anticipata per chi ha svolto lavori gravosi o usuranti
Anche la professione svolta negli ultimi anni di carriera può incidere sensibilmente sull’età di pensionamento. Alcuni lavori, infatti, per le loro caratteristiche fisiche, ambientali od organizzative, sono riconosciuti come usuranti o gravosi, e come tali danno accesso a canali di pensionamento anticipato. È un principio che trova fondamento nello stesso spirito di flessibilità previsto dalla stessa legge Fornero, secondo cui chi ha lavorato in condizioni particolarmente difficili merita regole differenti per l’uscita dal lavoro. In questo quadro, chi ha svolto un lavoro ritenuto logorante può accedere alla pensione anche prima dei 60 anni, a patto di soddisfare specifici requisiti contributivi e professionali.
Come anticipato esistono due elenchi distinti: da un lato ci sono i lavori usuranti, regolati da un decreto legislativo del 2011, che comprendono, tra gli altri, gli addetti a mansioni in galleria, miniera o ad alte temperature, i lavoratori notturni, quelli alla catena di montaggio o alla guida di mezzi per il trasporto collettivo. Dall’altro lato ci sono i lavori gravosi, definiti dalla legge del 2017 e poi ampliati nel 2022, che includono operai edili, infermieri turnisti, autisti di mezzi pesanti, addetti alla cura, pulizia, movimentazione merci, agricoltori, pescatori, marittimi, e molte altre figure professionali ritenute particolarmente impegnative.
A seconda della categoria di appartenenza, si può accedere a due strumenti principali. I lavori usuranti e parte di quelli gravosi consentono il pensionamento con Quota 41, riservata ai lavoratori precoci che hanno almeno 12 mesi di contributi versati prima dei 19 anni d’età. In questo caso, sono sufficienti 41 anni di contributi, senza vincoli anagrafici. Gli altri lavori gravosi, invece, danno accesso all’Ape Sociale, un anticipo pensionistico che permette di smettere di lavorare a 63 anni e 5 mesi con almeno 36 anni di contributi, a patto che l’attività gravosa sia stata svolta per almeno 7 anni negli ultimi 10, oppure 6 negli ultimi 7.
Esistono infine delle misure specifiche per i soli lavoratori usuranti, ovvero coloro che rientrano in una delle categorie definite dal decreto legislativo n. 67 del 2011. La prima è la pensione anticipata con Quota 97,6, che permette di andare in pensione già a 61 anni e 7 mesi, a condizione di avere almeno 35 anni di contributi e che la somma tra età e contributi dia almeno 97,6. Per i lavoratori autonomi è richiesto un anno in più. Questo canale è riservato a chi ha svolto attività usuranti per almeno 7 anni negli ultimi 10, o per almeno la metà della vita lavorativa complessiva.
La seconda possibilità riguarda la pensione di vecchiaia anticipata, che può essere ottenuta a 66 anni e 7 mesi con almeno 30 anni di contributi. Questa misura è riservata esclusivamente ai lavoratori notturni e agli addetti alla linea di catena, sempre a condizione che l’attività usurante sia stata svolta per un periodo sufficiente e documentato.
Pensione anticipata per chi ha lavorato molti anni
Anche chi ha alle spalle una lunga carriera lavorativa può accedere alla pensione in anticipo rispetto all’età ordinaria dei 67 anni, sfruttando una delle due principali forme di pensione anticipata ancora in vigore nel 2025. Si tratta di misure pensate per dare flessibilità al sistema previdenziale e per riconoscere il diritto al riposo a chi ha dedicato buona parte della propria vita al lavoro.
In primo luogo c’è la pensione anticipata ordinaria, accessibile indipendentemente dall’età anagrafica: bastano 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne. Per esempio, un uomo che ha iniziato a lavorare a 20 anni potrà andare in pensione a circa 62 anni e 10 mesi, senza dover attendere il requisito anagrafico dei 67. Per questa misura è prevista una finestra mobile di 3 mesi, che fa decorrere la pensione solo dopo che è trascorso questo lasso di tempo dal momento della maturazione del diritto.
Infine c’è Quota 41, di cui vi abbiamo già parlato nel paragrafo precedente, destinata esclusivamente ai lavoratori precoci, cioè a coloro che hanno maturato almeno un anno di contributi prima del compimento dei 19 anni. Anche in questo caso non è l’età a determinare l’uscita, ma il numero di anni lavorati: bastano infatti 41 anni di contributi per accedere alla pensione, ma solo se si appartiene a una delle categorie tutelate, come i caregiver, i disoccupati, gli invalidi con una percentuale pari almeno al 74%, o i lavoratori usuranti.
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