Non hai mai lavorato? Niente pensione a 67 anni. Ma c’è un’altra misura che dal prossimo anno avrà un nuovo importo.
Se non hai mai lavorato non puoi andare in pensione. Ogni opzione di pensionamento, infatti, richiede un certo numero di anni di contributi, mentre il requisito anagrafico non è sempre indispensabile (vedi ad esempio la pensione anticipata).
Riassumendo: ci sono opzioni di pensionamento che ti consentono di smettere di lavorare indipendentemente dall’età anagrafica, ma non ce n’è una che ti fa andare in pensione se non hai raggiunto un certo numero di contributi.
Nel dettaglio, al compimento dei 67 anni bisogna aver maturato almeno 20 anni per accedere alla pensione di vecchiaia, o al massimo 15 anni laddove vengono soddisfatte le condizioni di una delle tre deroghe Amato. In caso contrario bisognerà attendere il compimento dei 71 anni, per la quale è sufficiente aver lavorato 5 anni (a patto che siano tutti successivi all’1 gennaio 1996).
Chi non ha mai lavorato, quindi, non può andare in pensione ma esiste comunque una misura, che per molti aspetti è simile a un assegno pensionistico, che va a supporto di coloro che una volta compiuti i 67 anni non hanno i mezzi economici per sostenersi. Si tratta dell’Assegno sociale che, e qui sta la buona notizia, nel 2026 vedrà aumentare il suo importo per effetto della rivalutazione che si applicherà sui trattamenti previdenziali e assistenziali.
A tal proposito, sappiamo che per il momento il tasso di rivalutazione atteso per il 2026 è dell’1,7%, garantendo così non solo un aumento dell’importo ma anche un ampliamento della platea dei beneficiari visto che anche le soglie economiche da non superare sono soggette all’aggiornamento.
A chi spetta l’Assegno sociale nel 2026
Anche nel 2026, per poter accedere all’Assegno sociale è necessario rispettare alcune condizioni precise.
Il primo requisito riguarda l’età: la prestazione può essere richiesta solo a partire dai 67 anni, età che resta invariata anche per il prossimo anno (mentre nel 2027 potrebbe esserci un incremento di 3 mesi, al pari di quello che riguarderà la pensione di vecchiaia).
Oltre al requisito anagrafico, è fondamentale la cittadinanza o, per chi non è italiano, il possesso di specifici titoli di soggiorno. Ne hanno diritto i cittadini italiani, quelli comunitari regolarmente iscritti all’anagrafe e gli extracomunitari titolari di permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. La tutela si estende anche agli stranieri o apolidi riconosciuti come rifugiati politici o titolari di protezione sussidiaria.
Un altro punto centrale è la residenza: l’assegno spetta soltanto a chi ha residenza effettiva e dimora abituale in Italia, condizione che deve essere mantenuta nel tempo. Non basta, infatti, aver soggiornato per un periodo nel nostro Paese: la legge richiede che la permanenza sia continuativa da almeno dieci anni al momento della domanda.
Sul piano economico, il requisito determinante è rappresentato dal reddito. Nel 2026 il valore soglia dell’assegno salirà per effetto della rivalutazione all’1,7%, che comporterà l’innalzamento dei limiti reddituali.
Nel dettaglio, l’Assegno pieno spetta a chi non possiede alcun reddito se non è coniugato, oppure a chi, pur essendo sposato, ha un reddito familiare complessivo non superiore all’importo annuo rivalutato della prestazione. Oltre questi valori, ma entro certi limiti, l’assegno può comunque essere concesso in misura ridotta, sempre con l’obiettivo di garantire un minimo vitale.
Il nuovo importo
Dal 1° gennaio 2026 l’Assegno sociale conoscerà un lieve incremento grazie all’adeguamento all’inflazione, fissato all’1,7%. Si tratta di un meccanismo che, pur producendo aumenti contenuti, ha un impatto significativo perché coinvolge sia la somma effettivamente erogata che i limiti di reddito da rispettare per averne diritto.
Più precisamente, l’importo mensile salirà così dai 538,68 euro del 2025 a circa 547,82 euro, per un totale annuo che supererà i 7.121 euro distribuiti sulle tredici mensilità.
Ma la rivalutazione comporta anche un innalzamento delle soglie reddituali. Per i soggetti non coniugati il diritto pieno è riconosciuto soltanto a chi non percepisce alcun reddito, ma l’assegno può essere corrisposto in misura ridotta fino a quando i redditi personali non superano il nuovo tetto annuo di 7.121 euro. Per i coniugati il parametro raddoppia, e quindi l’integrazione spetta se il reddito familiare complessivo non supera i 14.242 euro, anche in questo caso con possibilità di riconoscimento parziale qualora ci si collochi all’interno di questa fascia.
Un’ulteriore opportunità riguarda l’incremento al milione che continua ad applicarsi al compimento dei 70 anni. Grazie a questo meccanismo l’importo base dell’Assegno sociale può essere aumentato fino a circa 751 euro mensili, in modo da garantire una soglia di tutela più adeguata alle persone anziane prive di risorse.
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