Pensioni, il governo vuole bloccare l’aumento dell’età pensionabile. Ma la Ragioneria di Stato lancia l’allarme.
Il governo vuole bloccare l’adeguamento dei requisiti per la pensione con le speranze di vita, un meccanismo che - come già annunciato dall’Istat - dovrebbe portare dal 2027 a un incremento di tre mesi dell’età pensionabile.
A stabilire che ogni due anni i requisiti per la pensione devono adeguarsi all’andamento delle aspettative di vita è stata la riforma Fornero, un meccanismo volto a garantire sostenibilità di lungo periodo al sistema previdenziale italiano.
Adesso, però, il governo sembra muoversi in quella che appare come una chiara mossa mediatica. Del resto, la maggioranza di centrodestra ha vinto le ultime elezioni politiche anche grazie alla promessa di rivedere il sistema pensionistico; figuriamoci quanta credibilità rischierebbe di perdere se non solo non mantenesse quell’impegno, ma addirittura autorizzasse un aumento dell’età pensionabile.
Come promesso dal sottosegretario al ministero del Lavoro, Claudio Durigon, l’aumento di 3 mesi dell’età pensionabile verrà congelato con la prossima manovra finanziaria. Anche nel 2027, quindi, si potrà andare in pensione a 67 anni, o in alternativa con 42 anni e 10 mesi di contributi indipendentemente dall’età.
Chi è prossimo alla pensione, quindi, può essere soddisfatto di questa promessa - per quanto prima dell’ufficialità consigliamo la massima prudenza visto che per il governo non sarà comunque semplice trovare le risorse - ma attenzione perché nel lungo periodo quello commesso dal governo Meloni potrebbe configurarsi come un grave errore. Da questa decisione, infatti, potrebbe scaturirne una brusca riduzione degli importi delle pensioni, come confermato dalla stessa Ragioneria di Stato.
Pensioni più basse? L’allarme della Ragioneria di Stato
Il blocco dell’adeguamento dei requisiti pensionistici alla speranza di vita rischia di avere conseguenze dirette sull’importo degli assegni futuri. A lanciare l’allarme è la Ragioneria generale dello Stato, nel rapporto sulle Tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario.
Secondo gli esperti, infatti, impedire l’automatismo che lega l’età pensionabile all’aumento della longevità potrebbe ridurre sensibilmente i cosiddetti tassi di sostituzione, cioè la quota di stipendio che viene garantita una volta in pensione. Nel lungo periodo si rischia un abbattimento fino a 8,9 punti percentuali per i lavoratori dipendenti e 7,9 per gli autonomi, con un peggioramento evidente della capacità degli assegni di mantenere adeguati livelli di vita.
Il motivo è legato al funzionamento stesso del sistema contributivo: più tardi si esce dal lavoro, più tempo si ha per versare contributi e più alti risultano i coefficienti di trasformazione che convertono il montante contributivo in pensione. Bloccare l’aumento dell’età, invece, significa andare via prima e con minori contributi, traducendosi in un assegno inevitabilmente più basso.
Il cuore del problema è rappresentato dai coefficienti di trasformazione, ovvero i valori che servono a trasformare il montante contributivo accumulato dal lavoratore in pensione annua. Si tratta di parametri che dipendono direttamente dall’età al momento del pensionamento: più tardi si lascia il lavoro, più alto sarà il coefficiente, perché la pensione verrà percepita per un periodo di tempo statisticamente più breve.
Bloccare l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita significa quindi anticipare l’uscita e, di conseguenza, ridurre sia i contributi versati che il coefficiente applicato. È questa la ragione per cui, secondo la Ragioneria, l’assegno tenderà a essere più magro nel lungo periodo.
Non solo: anche i coefficienti sono soggetti a revisione periodica, con aggiornamenti biennali. Se si decidesse di congelare non solo l’età pensionabile ma anche l’aggiornamento dei coefficienti dal 2027 in poi, la spesa pubblica crescerebbe sensibilmente. In questo caso, infatti, i tassi di sostituzione salirebbero invece di scendere: fino a 5,8 punti percentuali in più per i lavoratori dipendenti e 4,9 per gli autonomi, con un conseguente aumento del peso delle pensioni sul Pil.
Conviene davvero il blocco dell’età pensionabile?
Il congelamento dell’aumento dell’età pensionabile può sembrare una misura popolare e immediatamente vantaggiosa per chi è vicino alla pensione. Ma la realtà, come dimostrano le argomentazioni poste dalla Ragioneria generale dello Stato, è ben più complessa: nel lungo periodo la scelta rischia di tradursi in assegni più bassi per i futuri pensionati e in una maggiore pressione sui conti pubblici.
Il paradosso è che una misura pensata per proteggere i lavoratori dall’allungamento dell’età lavorativa potrebbe avere in realtà l’effetto opposto, compromettendo la sostenibilità e l’adeguatezza delle pensioni stesse. In altre parole, oggi si guadagna qualche mese di pensione in più, ma domani si rischia di avere molti meno soldi in tasca.
Quando si parla di riforma delle pensioni, quindi, bisogna ricordare che si tratta di una questione di equilibrio tra equità sociale e sostenibilità finanziaria. Un equilibrio che, se spezzato, potrebbe lasciare un conto molto salato alle prossime generazioni.
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