Riforma delle pensioni, la soluzione pensata dal governo andrà a svantaggio di chi ha lavorato per più anni.
Nei prossimi giorni il governo Meloni inizierà a discutere della legge di Bilancio, con un focus particolare sulla riforma delle pensioni. Al netto delle nuove misure di flessibilità che dovrebbero consentire un anticipo del collocamento in quiescenza, la sfida più importante riguarda il possibile blocco dell’adeguamento dei requisiti pensionistici all’aspettativa di vita.
Per una maggioranza che ha inserito tra i propri obiettivi l’“addio alla legge Fornero”, non sarebbe certo un bel segnale accettare senza reagire l’aumento dell’età pensionabile previsto dal 2027, quando si rischia un innalzamento di 3 mesi. In altre parole, 3 mesi di lavoro in più.
Pur non essendo una responsabilità diretta del governo Meloni - poiché il meccanismo di adeguamento è stato introdotto proprio dalla legge Fornero - sarebbe comunque paradossale che, nella legislatura in cui si punta a rendere più agevole l’accesso alla pensione, si finisca invece per allungarne i tempi.
La vera difficoltà, tuttavia, è far quadrare i conti. L’adeguamento tra aspettative di vita e requisiti pensionistici è infatti una garanzia di sostenibilità: se la vita media si allunga, cresce anche la spesa che l’Inps deve sostenere per pagare le pensioni. Non a caso, quasi tutti i Paesi europei hanno introdotto un meccanismo che lega l’età pensionabile alla speranza di vita.
Bloccare ora l’aumento avrebbe un costo molto elevato. Limitandosi al solo congelamento dell’incremento previsto per gennaio 2027, servirebbero 8 miliardi di euro: 3,3 miliardi nel 2027 e altri 4,7 miliardi nel 2028.
Per questo il governo starebbe valutando soluzioni alternative, con l’obiettivo di evitare l’aumento dei requisiti senza compromettere l’equilibrio dei conti pubblici, in una manovra che, tra l’altro, destinerà gran parte delle risorse alla riforma dell’Irpef.
Resta però un pericolo: uno scivolone politico che potrebbe costare caro all’esecutivo.
Pensioni, 64 anni la soglia di sicurezza
Chi compie 64 anni entro il 31 dicembre 2026 può stare tranquillo: i requisiti di pensionamento previsti per il 2027 resteranno invariati rispetto all’ultimo biennio. È proprio a questa fascia di lavoratori che il governo intende andare incontro, con l’obiettivo di congelare l’adeguamento dei requisiti all’aspettativa di vita ed evitare così l’aumento di 3 mesi previsto dalla legge Fornero.
Di fatto, non sono previste variazioni per la pensione di vecchiaia, né per la formula tradizionale né per quella contributiva. In entrambi i casi, infatti, il requisito anagrafico resta ben oltre i 64 anni - 67 anni per la vecchiaia ordinaria e 71 anni per la contributiva - per cui l’eventuale blocco non comporterà cambiamenti sostanziali.
Diverso invece il discorso per la pensione anticipata, che risulterebbe la più penalizzata. Questa misura consente di lasciare il lavoro a prescindere dall’età, purché si siano maturati 42 anni e 10 mesi di contributi (oppure 41 anni e 10 mesi per le donne). In molti casi, dunque, chi raggiunge il requisito contributivo può smettere di lavorare prima dei 64 anni.
Se la soluzione ipotizzata dal governo dovesse concretizzarsi, per chi non ha ancora compiuto 64 anni la pensione anticipata rimarrebbe, ma con requisiti più rigidi: sarebbe necessario lavorare 3 mesi in più, raggiungendo quindi 43 anni e 1 mese di contributi per gli uomini e 42 anni e 1 mese per le donne.
In altre parole, il congelamento del requisito anagrafico avvantaggerebbe chi è prossimo alla pensione di vecchiaia, mentre rischierebbe di penalizzare i lavoratori con lunghe carriere contributive, che vedrebbero spostarsi in avanti la soglia per l’uscita anticipata.
Perché per il governo sarebbe un grave errore
L’ipotesi di bloccare l’aumento dei requisiti pensionistici solo per chi ha compiuto 64 anni rischia di trasformarsi in un boomerang per il governo e, in particolare, per la Lega. A livello mediatico e politico, sarebbe infatti percepita come una misura ingiusta e contraddittoria, soprattutto se si considera che la maggior parte di coloro che accedono alla pensione anticipata lo fa ben prima dei 64 anni.
I numeri parlano chiaro: nel 2024, su 224 mila pensionamenti anticipati, ben 204 mila lavoratori avevano meno di 64 anni, il 90%. Si tratta, quindi, della platea principale interessata dall’aumento: in pratica, chi ha iniziato a lavorare presto verrebbe penalizzato, mentre a beneficiare del blocco sarebbero solo coloro che già si avvicinano all’età della vecchiaia.
Un messaggio difficilmente difendibile per un partito, come la Lega, che ha sempre fatto della battaglia contro la legge Fornero uno dei suoi cavalli di battaglia e che ha promesso di introdurre la Quota 41. Ritrovarsi, invece, con una sorta di “Quota 43” equivarrebbe a un testacoda politico: un segnale di incoerenza che rischierebbe di alienare il consenso di quella stessa base elettorale che per anni ha sostenuto le rivendicazioni leghiste in materia previdenziale.
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