Pensioni, primo sguardo alle regole per il 2026. Nessuno stop o revisione della Fornero, ecco chi può smettere di lavorare in anticipo.
Non ci sarà una riforma delle pensioni tale da stravolgere le regole del pensionamento in Italia nella legge di Bilancio 2026. Sembra essere questo l’orientamento del governo Meloni che in queste settimane che precedono lo stop dei lavori parlamentari per le vacanze estive inizia a ragionare su cosa ci sarà nella prossima manovra.
Stando alle ultime indiscrezioni che arrivano da Palazzo Chigi, non bisognerà quindi attendersi novità significative sul fronte pensioni, con il governo che dovrebbe concentrarsi su temi correlati ma che non incidono particolarmente sull’età pensionabile.
Ad esempio le pensioni integrative, su cui Giorgetti ha avviato il cantiere con cui intende rivedere le pensioni complementari e incentivarne il ricorso, come pure lo stop agli adeguamenti con le speranze di vita che tuttavia si applicherà solamente nel 2027.
Ecco quindi che le regole per andare in pensione nel 2026 dovrebbero essere più o meno le stesse dell’anno corrente, senza alcuna modifica significativa alla legge Fornero. Possiamo quindi già rispondere alla domanda su chi smetterà di lavorare e a quanti anni potrà farlo.
Pensioni, resta la Fornero. E adesso?
Neppure nel 2026 ci sarà quell’addio alla riforma Fornero su cui la Lega ha costruito buona parte della sua campagna elettorale alle ultime elezioni politiche. Ma d’altronde, come abbiamo più volte avuto modo di spiegare, non è ragionevole oggi solamente ipotizzare alla possibilità che le regole per il pensionamento in Italia possano essere riviste a vantaggio di chi spera di smettere di lavorare in anticipo, dal momento che il costo necessario per rivedere la Fornero sarebbe oggi insostenibile per l’Italia.
Ora, il fatto che resti la Fornero non è un dramma dal momento che se si guarda all’età effettiva di pensionamento ci rendiamo conto che l’Italia non è così distante da altri Paesi. È vero infatti che l’età pensionabile è tra le più alte d’Europa, pari a 67 anni, ma allo stesso tempo ci sono tante altre alternative alla pensione di vecchiaia che consentono, a chi soddisfa determinati requisiti, di poter smettere di lavorare con qualche anno di anticipo.
Anzi, proprio per questo motivo dall’Europa fanno pressioni affinché l’Italia - così come altri Paesi - possano ridurre ulteriormente la spesa pensionistica. Ovviamente non è nelle intenzioni del governo Meloni, che tuttavia nel 2026 potrebbe dire addio a quella Quota 103 che non ha mai convinto del tutto i lavoratori, molti dei quali hanno rinunciato alla possibilità di ricorrervi per andare in pensione a 62 anni in quanto spaventati dalla possibilità che ciò avrebbe comportato una riduzione dell’assegno.
Va in pensione nel 2026 solo chi è nato in questi anni
Nel 2026 restano in vigore le attuali regole della legge Fornero, quindi la pensione di vecchiaia si potrà ottenere a 67 anni di età con almeno 20 anni di contributi. Di conseguenza, potranno andare in pensione solo i nati nel 1959. Le deroghe Amato valgono anch’esse per i nati nel 1959, in quanto garantiscono l’accesso a 67 anni con solo 15 anni di contributi.
Chi soddisfa i requisiti per la pensione anticipata potrà lasciare il lavoro nel 2026, indipendentemente dall’età, se ha versato sufficientementi contributi (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne). Questo include chi ha iniziato a lavorare in giovane età (“precoci”), con almeno un contributo versato entro il 31 dicembre 1995, per i quali vi è la possibilità di ricorrere a Quota 41. Per la pensione anticipata contributiva serviranno 64 anni di età, 25 anni di contributi e un assegno minimo pari a tre volte l’assegno sociale, con soglie più basse per le donne. Così potrebbero andare in pensione nel 2026 i nati nel 1962 o prima, a seconda di data di nascita, contribuzione e reddito.
Anche chi rientra nell’Ape Sociale (disoccupati, invalidi, caregiver, addetti a lavori gravosi) potrà smettere a 63 anni e 5 mesi, quindi nati entro metà 1962, se possiede almeno 30 o 36 anni di contributi secondo il profilo di appartenenza.
Infine, nonostante l’addio annunciato a Quota 103, il governo sta valutando di mantenere comunque una forma di pensionamento anticipato a 62 anni, introducendo una Quota 41 flessibile.
Questa misura estenderebbe l’accesso a tutti (non solo ai lavoratori precoci), prevedendo la possibilità di uscire dal lavoro a 62 anni, purché si siano maturati 41 anni di contributi. Ne deriverebbe che nel 2026 potrebbero andare in pensione con questa formula i nati nel 1964 o in anni precedenti, se in possesso dei contributi richiesti. Va però ricordato che la misura dovrebbe prevedere, per chi ha un reddito Isee superiore a 35.000 euro, una penalizzazione sull’assegno pari al 2% per ogni anno di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia, mentre chi ha redditi più bassi ne sarebbe esente.
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