Pensioni, ecco di cosa devi preoccuparti se hai iniziato a lavorare dopo il 1996

Simone Micocci

5 Aprile 2023 - 10:20

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Diversi svantaggi per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996: ecco cosa rischiano i cosiddetti contributivi puri.

Pensioni, ecco di cosa devi preoccuparti se hai iniziato a lavorare dopo il 1996

Essere un contributivo puro ha diversi svantaggi: oltre a rischiare un assegno più basso rispetto a quello calcolato, almeno in parte, con le regole del retributivo, si rischia di avere una minore flessibilità nell’accesso alla pensione.

Introdotto dalla legge Dini (n. 335 dell’8 agosto 1995) ed esteso dalla riforma Fornero, il sistema contributivo oggi si applica nei confronti dei periodi successivi al 1° gennaio 1996 (o 1° gennaio 2012 per coloro che al 31 dicembre 1995 avevano maturato almeno 18 anni di contributi). Ne risulta, quindi, che sono considerati contributivi puri tutti coloro che hanno iniziato a versare contributi successivamente al 1° gennaio 1996, nei confronti dei quali si applicano regole di calcolo - e in alcuni casi anche di accesso alla pensione - differenti rispetto a coloro che hanno un’anzianità contributiva antecedente alla suddetta data.

Tant’è che da tempo è in atto un dibattito riguardo all’introduzione di una serie di tutele (la cosiddetta pensione di garanzia) per coloro che rientrando interamente nel sistema contributivo rischiano di andare in pensione molto tardi e con un assegno d’importo inadeguato che a oggi - e questo è un altro svantaggio - non gode neppure della possibilità di essere integrato al minimo.

Facciamo chiarezza dunque su quali sono gli svantaggi per chi è un contributivo puro, così da essere consapevoli di quali sono i rischi che corre chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 e non può vantare alcun contributo (ad esempio da riscatto) per il periodo antecedente.

Regime di calcolo più severo

Partiamo da quella che è la caratteristica più nota del sistema contributivo: il calcolo della pensione. Con l’introduzione del contributivo è stato introdotto infatti un regime di calcolo più sostenibile per lo Stato e allo stesso tempo più svantaggioso per il lavoratore.

Con il retributivo, infatti, vengono valorizzati perlopiù gli ultimi anni di lavoro, quando solitamente si gode di stipendi più alti rispetto a inizio carriera, mentre con il contributivo viene considerato l’intero periodo. Per ogni anno di lavoro, infatti, vengono accumulati i contributi effettivamente versati, tanto più alti quant’è stata la retribuzione percepita ovviamente.

I contributi vengono accumulati in quello che viene chiamato montante contributivo, un tesoretto che si trasformerà in pensione attraverso l’applicazione di un determinato coefficiente tanto maggiore quanto più si ritarda l’accesso alla pensione.

Quindi, non solo si tiene conto di quanto effettivamente è stato guadagnato in tutta la carriera, ma vi è anche un meccanismo che svantaggia coloro che decidono di andare in pensione in anticipo.

Niente integrazione della pensione

E laddove la pensione calcolata con il contributivo dovesse risultare molto bassa non si potrà neppure sperare nell’integrazione. Oggi, infatti, l’Inps integra la pensione di quei pensionati che hanno un assegno inferiore alla soglia annualmente fissata, quest’anno pari a 563,74 euro, fino al raggiungimento della stessa.

Anche tale strumento è però precluso ai contributivi puri, per i quali non scatta alcun incremento al minimo della pensione neppure nel caso in cui dovesse risultare inferiore a 563 euro mensili. E come vedremo di seguito, avere una pensione molto bassa potrebbe ritardare persino l’accesso alla pensione.

Attenzione al requisito “nascosto” della pensione di vecchiaia

Come noto ai più per l’accesso alla pensione di vecchiaia bisogna aver compiuto i 67 anni di età e aver maturato 20 anni di contributi. Tuttavia, c’è un requisito “nascosto”, in quanto noto a pochi, che si applica nei confronti dei contributivi puri.

Se questi vogliono andare in pensione a 67 anni, infatti, oltre ad aver maturato 20 anni di contributi devono aver raggiunto un importo di pensione pari o superiore a 1,5 volte il valore dell’assegno sociale, nel 2023 pari a 503,27 euro. Ne risulta, quindi, una pensione di almeno 754,90 euro.

Diversamente bisognerà guardare ad altre forme per il pensionamento, ad esempio alla pensione di vecchiaia riservata ai contributivi puri che tuttavia si raggiunge solo al compimento dei 71 anni (oltre a 5 anni di contributi).

Niente sconti per la pensione di vecchiaia

Attenzione poi perché i contributivi puri sono anche esclusi dalle possibilità di godere di uno sconto dei contributi per l’accesso alla pensione di vecchiaia. A oggi, infatti, esistono tre deroghe (introdotte dalla legge Amato) che ad alcune condizioni consentono l’accesso alla pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi anziché 20.

Tuttavia, tra le condizioni richieste c’è quella per cui almeno un contributo deve essere maturato entro il 31 dicembre 1995, il che di fatto esclude tutti i contributivi puri dalla possibilità di approfittare dello sconto in oggetto.

Niente sconti neppure per la pensione anticipata

La pensione anticipata si matura tanto per i contributivi puri che per chi ha la pensione calcolata almeno in parte con il retributivo al raggiungimento dei 42 anni e 10 mesi di contributi (1 in meno per le donne) e indipendentemente dall’età anagrafica.

Tuttavia, ai cosiddetti lavoratori precoci, ossia a chi ha iniziato a lavorare da molto giovane tanto da aver maturato 12 mesi di contributi prima del compimento dei 19 anni, viene data la possibilità di accedere alla pensione anticipata con Quota 41, per la quale sono appunto sufficienti 41 anni di contributi. Anche questa possibilità è tuttavia preclusa a coloro che hanno la pensione calcolata interamente con il sistema contributivo.

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