Pensioni, ecco cosa ha detto Meloni 3 anni fa. E cosa ha fatto davvero

Simone Micocci

6 Giugno 2025 - 09:42

Il governo Meloni sta mantenendo le promesse sul fronte pensioni? Le attese erano delle migliori, ma nel concreto è stato fatto poco o nulla per evitare lo scoppio di una “bomba sociale”.

Pensioni, ecco cosa ha detto Meloni 3 anni fa. E cosa ha fatto davvero

Era il 25 ottobre del 2022 quando Giorgia Meloni si presentò alla Camera dei Deputati per chiedere la fiducia al suo governo. In quell’occasione fece un lungo discorso in cui anticipò alcuni dei punti del suo programma politico, soffermandosi anche sull’aspetto previdenziale.

D’altronde quella maggioranza aveva posto il tema pensioni al centro della campagna elettorale, specialmente lato Lega, con l’addio alla legge Fornero, e Forza Italia, dove Silvio Berlusconi annunciò la volontà di aumentare il trattamento minimo portandolo a 1.000 euro.

Nonostante queste pressioni, però, nel programma di governo, o perlomeno in quello descritto dalla futura presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo discorso, questi temi non trovarono spazio, dando fiducia a tutti coloro che comprendono quali sono davvero i problemi del nostro sistema previdenziale. Perché se oggi si guardano i dati, ci si rende conto che siamo ancora lontani dalla messa in sicurezza dei conti pubblici: la legge Fornero, quella che una parte di questa maggioranza annunciava di voler eliminare, per quanto utile non è stata sufficiente a garantire una stabilità di lungo periodo.

Ancora oggi c’è incertezza su quanto prenderanno di pensione i giovani di oggi. Un tema che è noto agli esperti del settore, come pure alla stessa Giorgia Meloni. E non è un caso che sia stato solamente questo il tema affrontato durante il suo discorso, salvo poi comportarsi in maniera del tutto differente una volta al governo.

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La priorità per il futuro sarà un sistema pensionistico che garantisca anche le giovani generazioni e chi percepirà l’assegno solo in base al regime contributivo. Una bomba sociale che continuiamo a ignorare ma che investirà in futuro milioni di attuali lavoratori, che si ritroveranno con assegni addirittura molto più bassi di quelli già inadeguati che si percepiscono attualmente”.

Nel lungo discorso con cui si presentò alla Camera dei Deputati per ottenere la fiducia, che poi come noto ottenne, la presidente Meloni parlò in questi termini delle pensioni, utilizzando parole forti - “bomba sociale che continuiamo a ignorare” - e ponendo un unico obiettivo: dare garanzia alle giovani generazioni.

L’introduzione del regime contributivo, infatti, ha reso centrale questo argomento: chi avrà la pensione calcolata interamente con questo sistema, ossia coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, rischia infatti di ritrovarsi con un importo insufficiente per vivere e con la beffa di non poter neppure beneficiare dell’integrazione al trattamento minimo. Ad esempio, se i calcoli effettuati restituiscono un risultato di 300 euro, sarà quello l’importo della pensione liquidata e poco importa se oggi la pensione minima è fissata a poco più di 600 euro: questo importo, infatti, è garantito solamente a coloro che hanno almeno un contributo settimanale versato entro il 31 dicembre 1995.

Le parole di Meloni hanno rappresentato un segnale di speranza, perché quello della pensione di garanzia per le giovani generazioni è stato un tema che anche i precedenti governi hanno posto in cima alle loro priorità senza però fare passi avanti significativi in quella direzione. Che finalmente fosse arrivato il momento di un cambio di rotta? Va riconosciuto che lavorare per introdurre una pensione di garanzia non è affatto semplice. Richiederebbe un vero e proprio “sacrificio” politico, perché significherebbe destinare ingenti risorse a una misura i cui benefici si vedrebbero solo tra decenni. Dal punto di vista elettorale, si tratta di una scelta poco redditizia: gli elettori, infatti, tendono a premiare chi offre vantaggi tangibili e immediati. Ecco perché risulta più conveniente, in termini di consenso, promettere l’abolizione della legge Fornero piuttosto che costruire oggi una rete di protezione per le pensioni dei giovani di domani.

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Va detto però che anche Meloni sembra essere caduta nel circolo vizioso che porta a utilizzare le poche risorse disponibili per dare sollievo immediato piuttosto che per costruire un percorso di lungo periodo.

A oggi, infatti, i passi fatti in direzione di una pensione di garanzia sono minimi e non significativi a tal punto da evitare lo scoppio della “bomba sociale” annunciata dalla premier.

La misura più significativa è stata quella che ha ridotto la soglia economica che coloro che hanno la pensione calcolata interamente con il sistema contributivo devono raggiungere per smettere di lavorare a 67 anni.

Prima dell’intervento del governo, infatti, per la pensione di vecchiaia serviva aver maturato una pensione almeno pari a 1,5 volte il valore dell’Assegno sociale, mentre il governo Meloni è sceso a 1 volta. Quindi - stando ai valori del 2025 - si è passati da 807 a 538 euro, dando così maggiori possibilità di andare in pensione a coloro che non sono riusciti a garantirsi una rendita soddisfacente.

Dopodiché il nulla: da tre anni, ad esempio, vanno avanti i discorsi su come incentivare le adesioni alla previdenza complementare, facendo in modo quindi che sempre più persone possano investire sul loro futuro garantendosi un’entrata aggiuntiva a quella pagata dall’Inps. Ma nonostante qualche tentativo, di rilevante non c’è ancora nulla.

Nel frattempo però il governo Meloni, come i suoi predecessori, non ha rinunciato alle misure “spot”, in particolare quella Quota 103 che in questi anni ha offerto una strada alternativa alla legge Fornero, seppur con poco appeal tra i lavoratori complice il ricalcolo interamente contributivo dell’assegno.

Insomma, a tre anni dalle parole forti pronunciate in Parlamento, la promessa di Giorgia Meloni di affrontare “la bomba sociale” delle pensioni per i giovani resta in larga parte disattesa. Il governo ha preferito soluzioni a breve termine, sacrificando il coraggio politico necessario per affrontare un problema strutturale che non può più essere rimandato.

La pensione di garanzia resta un miraggio, mentre il tempo scorre e con esso la possibilità di costruire un sistema davvero equo e sostenibile. Continuare a ignorare questa emergenza silenziosa significa condannare un’intera generazione a un futuro di insicurezza e precarietà. E se la politica non trova il coraggio di guardare oltre il prossimo sondaggio, allora il conto lo pagheremo tutti, domani.

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