Pensioni, di quanto possono scendere gli importi e chi perderà di più a causa del nuovo taglio

Simone Micocci

12 Settembre 2023 - 07:30

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Pensioni, nel 2024 potrebbe esserci il ritorno al meccanismo di rivalutazione già attuato nel 2019. Ecco din quanto possono scendere gli importi a causa delle percentuali maggiormente penalizzanti.

Pensioni, di quanto possono scendere gli importi e chi perderà di più a causa del nuovo taglio

Come già anticipato, è in fase di studio la possibilità di tagliare nuovamente la rivalutazione delle pensioni attuando nel 2024 un modello persino più penalizzante rispetto a quello introdotto nel gennaio scorso.

L’obiettivo è recuperare poco più di 1 miliardo di euro dalla rivalutazione, risorse che potrebbero essere destinate ad aumentare le pensioni minime portandole, ma solo per gli over 75, a toccare quota 700 euro.

A tal proposito, qualche settimana fa è stato il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, a confermare che il governo sta valutando la possibilità di rivedere ulteriormente le percentuali di rivalutazione limitando di fatto gli effetti dell’adeguamento degli assegni al costo della vita per coloro che hanno redditi più elevati. La novità rispetto ai giorni scorsi è che il governo sembra stia prendendo in considerazione l’ipotesi di tornare al meccanismo di rivalutazione già utilizzato nel 2019, dandoci così un’informazione essenziale per capire quanto si rischia di perdere a causa della nuova stretta (sempre se ci sarà).

Pensioni, rivalutazione 2019 e 2023 a confronto

Come noto, per quanto riguarda la rivalutazione delle pensioni già nel 2023 è stato introdotto un sistema maggiormente restrittivo rispetto a quello ordinario disciplinato dalla legge n. 448 del 1998 (100% fino a 4 volte il trattamento minimo, 90% tra le 4 e le 5 volte e 75% sopra le 5 volte).

Da programma lo stesso meccanismo dovrebbe essere applicato anche nel 2024: tuttavia, per recuperare ulteriori risorse rispetto a quelle già risparmiate - 10 miliardi di euro netti per il triennio 2023/2025 - il governo potrebbe prendere in considerazione l’opzione di tornare alla rivalutazione applicata nel 2019 come disciplinata dall’articolo 1, comma 260, della legge 30 dicembre 2018, n. 145.

Ecco una tabella che mette a confronto le percentuali dell’una e dell’altra così da capire chi potrebbe essere svantaggiato da un “ritorno al passato”.

Importo pensione Percentuale di rivalutazione 2019 Percentuale rivalutazione 2023
Fino a 3 volte il trattamento minimo 100% 100%
Tra le 3 e le 4 volte il trattamento minimo 97% 100%
Tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo 77% 85%
Tra le 5 e le 6 volte il trattamento minimo 52% 53%
Tra le 6 e le 8 volte il trattamento minimo 47% 47%
Tra le 8 e le 9 volte il trattamento minimo 45% 37%
Tra le 9 e le 10 volte il trattamento minimo 40% 37%
Sopra le 10 volte il trattamento minimo 40% 32%

Come possiamo vedere dalla tabella, il meccanismo del 2019 risulta più conveniente sopra le 8 volte il trattamento minimo, ragion per cui per questi si dovrebbe continuare con le percentuali già applicate nel 2023 con il rischio che sopra una certa soglia - che deve essere ancora individuata - la rivalutazione possa essere persino azzerata. E non è da escludere neppure il ritorno a un contributo di solidarietà, misura che in passato venne bocciata dalla Corte Costituzionale solamente perché di lunga durata (5 anni).

Quanto si perderebbe con il passaggio al modello di rivalutazione applicato nel 2019?

Stando alle ultime indiscrezioni, come riportate nel Def approvato ad aprile, la rivalutazione nel 2024 dovrebbe essere pari al 5,7%. Fermo restando che questa percentuale potrebbe essere oggetto di variazione, prendiamola come riferimento per fare chiarezza su come potrebbero cambiare gli importi nel caso in cui il prossimo anno dovesse essere utilizzato un meccanismo più simile al 2019 rispetto a quello introdotto nel 2023.

Intanto ci sarebbe una penalizzazione anche per gli assegni di importo superiore alle 3 volte il trattamento minimo, quindi sopra i 1.691,22 euro, per i quali anziché una rivalutazione piena ne scatterebbe una del 97%. Pensiamo ad esempio a una pensione di 2.000 euro che anziché di una rivalutazione al 5,7%, con incremento di 114 euro, dovrebbe “accontentarsi” di un aumento di 110 euro.

Ma se 4 euro in meno al mese possono sembrare poca cosa, peggio andrebbe per coloro che hanno una pensione compresa tra le 4 - 2.254,96 euro - e le 5 - 2.818,70 euro - volte il trattamento minimo. Per questi, da una rivalutazione del 4,845% (85% del tasso di rivalutazione) si passerebbe a una meno generosa del 4,389% (77% del tasso di rivalutazione): il che significa che ad esempio un assegno di 2.500 euro anziché godere di un incremento di circa 121 euro ne avrebbe uno di circa 109 euro.

Poca differenza, invece, per gli importi tra le 5 e le 6 volte - 3.382,44 euro - il trattamento minimo visto che la rivalutazione sarebbe al 52% del tasso (quindi al 2,964%) anziché al 53% (3,021%). Una pensione di 3.000 euro godrebbe così di un incremento di 88,92 euro anziché di 90,63 euro.

Resta da capire, e per questo al momento è ancora presto per fare simulazioni, cosa succederà sopra le 6 volte il trattamento minimo, con il rischio di una perdita particolarmente consistente laddove si dovesse decidere di sospendere totalmente la rivalutazione sopra una certa soglia.

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