Pensioni: chi sono i contributivi puri e perché sono penalizzati

Antonio Cosenza

6 Marzo 2021 - 14:36

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Pensioni: serve una soluzione per i contributivi puri. Chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 è penalizzato, ecco perché.

Pensioni: chi sono i contributivi puri e perché sono penalizzati

Pensioni: da tempo si parla di riconoscere tutele per i cosiddetti contributivi puri, ossia per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, data che ha segnato l’avvicendamento tra regime retributivo e contributivo.

Come noto, questo passaggio ha comportato un cambio dei criteri per il calcolo dell’assegno, ma non solo: per i cosiddetti contributivi puri, infatti, sono venute meno una serie di tutele come quella che riconosce un’integrazione sull’assegno in caso di pensione molto bassa.

Inoltre, a coloro che rientrano interamente nel regime contributivo sono richiesti requisiti aggiuntivi per l’accesso alla pensione di vecchiaia a 67 anni.

Non è un caso che nel programma pensato da Alberto Brambilla per la riforma delle pensioni si parli di totale equiparazione delle regole generali per i modelli retributivi, misti e contributivi.

Ad oggi, infatti, i contributivi puri risultano essere troppo svantaggiati e la crisi economica di questo periodo non aiuta.

Contributivi puri: chi sono e perché sono svantaggiati

Come anticipato, sono contributivi puri quei lavoratori il cui primo versamento contributivo sia successivo alla riforma Dini e quindi alla data del 1° gennaio 1996.

A questi si applicano le regole del regime contributivo per il calcolo dell’assegno, ben più svantaggioso rispetto al retributivo. Con il contributivo, che con il passare degli anni sarà sempre più dominante, viene data maggiore importanza agli anni di lavoro e agli stipendi percepiti: nel calcolo dell’assegno, infatti, si tiene conto esclusivamente dei contributi versati dal lavoratore. Questi vanno a formare un montante contributivo che si trasforma in pensione tramite l’applicazione di un determinato coefficiente (cosiddetto di trasformazione), il quale premia coloro che ritardano l’accesso alla pensione (penalizzando, invece, chi decide di uscire in anticipo dal mercato del lavoro).

Di conseguenza, con questo sistema di calcolo vengono penalizzati coloro che hanno carriere discontinue percependo stipendi non elevati. Un problema per molti, specialmente in questo particolare periodo storico. Si teme, quindi, che in futuro le pensioni saranno sempre più basse; a pesare su questa situazione c’è anche il fatto che ai contributivi puri non si applica l’integrazione al trattamento minimo, strumento che consente - solamente a chi rientra nel regime retributivo o misto - di godere di un incremento dell’assegno fino al raggiungimento dei 515,58 euro (importo aggiornato al 2021).

E ancora: ai contributivi puri viene richiesto di soddisfare un requisito economico per poter andare in pensione a 67 anni. A questi, infatti, non basta il possesso dei 20 anni di contributi: quando questi afferiscono al periodo successivo al 1° gennaio 1996, bisognerà anche avere un importo di pensione superiore a 1,5 volte l’assegno sociale.

Nel 2021, quindi, questi possono andare in pensione a 67 anni solo se nel contempo hanno maturato 20 anni di contributi e un assegno superiore a 690 euro mensili. In caso contrario questi dovranno attendere il compimento dei 71 anni di età.

Pensione, contributivi puri: quali tutele

Da tempo, visto che con il passare degli anni saranno sempre di più i contributivi puri, ci si interroga su quali tutele prevedere per questi. Si discute dell’importanza di una pensione di garanzia, ma ad oggi non sono stati ancora mossi passi concreti verso questa direzione.

Nei giorni scorsi vi abbiamo parlato della proposta di Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, riguardo alla necessità di prevedere regole uguali per tutti, consentendo tra l’altro anche ai contributivi puri di godere del trattamento minimo della pensione.

Nel dettaglio, per prevedere tutele adeguate sarà necessario istituire fin da subito un fondo di equità, il quale dovrà essere finanziato con 500 milioni di euro ogni anno; in questo modo, a partire dal 2036 si avranno sufficienti risorse per garantire tutele pensionistiche anche ai contributivi puri. Proposta sulla quale il Governo Draghi - secondo indiscrezioni - sta facendo le dovute valutazioni.

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