Nel 2026 aumentano le soglie economiche da raggiungere per andare in pensione. Ecco i nuovi importi di cui tener conto.
Abbiamo già parlato di come la rivalutazione delle pensioni garantirà un aumento degli assegni a partire da gennaio. C’è tuttavia un aspetto di questo meccanismo che andrà a danneggiare i lavoratori prossimi alla pensione: nel 2026, per smettere di lavorare, bisognerà raggiungere una soglia economica più elevata rispetto a quella richiesta nel 2025.
Ci sono opzioni di pensionamento, infatti, che oltre a prevedere il raggiungimento di una certa soglia anagrafica e contributiva tengono conto anche dell’importo dell’assegno che verrebbe liquidato dall’Inps. In poche parole, esiste un importo minimo di pensione che assicura il collocamento in quiescenza: una condizione che può comportare un problema non di poco conto per coloro che hanno avuto carriere discontinue oppure hanno sempre lavorato con orario part-time, percependo stipendi medio-bassi.
Nel dettaglio, le misure che considerano anche l’importo della pensione sono due: l’opzione tradizionale della pensione di vecchiaia, ma solamente per coloro che non hanno contributi versati entro il 31 dicembre 1995, e l’opzione contributiva della pensione anticipata. In particolare, quest’ultima richiede una soglia minima piuttosto elevata, con la buona notizia che, nel valutare se è stata raggiunta o meno, si tiene conto anche di un’eventuale rendita erogata da un fondo di previdenza complementare. Va comunque detto che il profilo di un lavoratore che ricorre a una pensione integrativa, avendo quindi i risparmi per farlo, solitamente riesce a raggiungere da solo il minimo previsto, mentre chi non lo fa è perché in carriera non ha guadagnato cifre elevate, il che rende proibitivo anche mettere da parte qualche soldo per garantirsi una seconda rendita pensionistica.
Ma andiamo con ordine e vediamo in che modo la rivalutazione delle pensioni andrà a incidere sulle regole per il pensionamento e quali sono i nuovi importi minimi da raggiungere nel 2026 per ottenere l’autorizzazione dell’Inps al collocamento in quiescenza.
Più soldi per la pensione di vecchiaia
In Italia, la pensione di vecchiaia si ottiene al compimento dei 67 anni di età con almeno 20 anni di contributi versati.
Per i cosiddetti “contributivi puri”, ossia coloro che non hanno anzianità contributiva maturata prima del 1° gennaio 1996, la legge prevede però un requisito ulteriore: l’importo della pensione deve essere almeno pari a quello dell’Assegno sociale, la prestazione assistenziale riconosciuta dall’Inps ai cittadini di 67 anni in condizioni economiche di difficoltà.
Nel 2025 ammonta a 538,68 euro al mese, pari a 7.002,84 euro annui, ma a partire dal 2026 anche questa soglia salirà a seguito della rivalutazione.
Secondo le stime del governo l’aumento sarà dell’1,7%, con un assegno che raggiungerà i 547,84 euro mensili, cioè 7.121,92 euro all’anno. Questo significa che per smettere di lavorare a 67 anni sarà necessario avere una pensione almeno pari a tale importo.
Tradotto in termini di sistema contributivo, il nuovo minimo corrisponde a un montante pari a circa 126.970 euro, calcolato dividendo l’importo annuo richiesto per il coefficiente di trasformazione valido a 67 anni, che resta del 5,608%.
Se si spalma questa cifra su un arco di 20 anni di contribuzione, emerge la necessità di versare mediamente 6.348 euro di contributi l’anno. Per un lavoratore dipendente, considerata l’aliquota contributiva del 33%, ciò equivale a una retribuzione lorda annua di circa 19.240 euro, corrispondenti a circa 1.480 euro lordi al mese, pari a poco meno di 1.000 euro netti a seconda della situazione fiscale individuale.
Più soldi per la pensione anticipata contributiva
Rispetto alla pensione di vecchiaia a 67 anni, la pensione anticipata a 64 anni per i lavoratori interamente nel sistema contributivo presenta condizioni molto più stringenti. Non basta infatti aver raggiunto i 25 anni di contributi: è necessario anche maturare un assegno pensionistico di importo significativamente superiore a quello minimo richiesto per la pensione ordinaria.
Nel 2026, a seguito della rivalutazione dell’Assegno sociale, le soglie di accesso aumentano ulteriormente. Per gli uomini e per le donne senza figli, l’importo minimo richiesto corrisponde a 3 volte l’Assegno sociale, cioè circa 1.643 euro al mese, pari a 21.364 euro annui su tredici mensilità. Per le donne con un figlio la soglia scende a 2,8 volte l’Assegno sociale, ossia circa 1.534 euro mensili e 19.942 euro annui, mentre per le donne con due o più figli il limite è fissato a 2,6 volte l’Assegno sociale, pari a circa 1.424 euro al mese e 18.512 euro l’anno.
Se si considera la soglia piena di tre volte l’Assegno sociale, l’importo annuo minimo di 21.364 euro deve essere trasformato in montante contributivo attraverso il coefficiente valido per l’età di 64 anni, pari al 5,088%.
Ne risulta che un lavoratore dovrà aver accumulato almeno 419.800 euro di contributi.
Distribuiti su 25 anni di attività, ciò significa che ogni anno andrebbero versati in media circa 16.790 euro di contributi. Nel caso di un lavoratore dipendente, con un’aliquota del 33%, questo valore corrisponde a una retribuzione lorda annua di circa 50.880 euro, pari a oltre 3.900 euro lordi al mese.
Nemmeno le soglie ridotte previste per le donne con figli rendono l’obiettivo facilmente raggiungibile. Nel caso della riduzione a 2,6 volte l’Assegno sociale, l’importo annuo minimo di 18.512 euro richiede comunque un montante di circa 363.700 euro, il che significa versare ogni anno circa 14.550 euro di contributi.
Per una dipendente questo equivale a una retribuzione lorda di oltre 44.000 euro annui, ossia circa 3.400 euro lordi al mese. Anche con questa agevolazione, la pensione anticipata a 64 anni resta quindi un obiettivo selettivo e riservato a chi ha potuto contare su carriere stabili e ben retribuite, lontano dalla portata di chi ha avuto lavori precari, part-time o con stipendi medio-bassi.
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