Pensioni: viene riconosciuto il periodo in cui si è in cassa integrazione?

Antonio Cosenza

19/06/2020

28/07/2020 - 09:37

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Il periodo in cui si è in cassa integrazione viene riconosciuto ai fini previdenziali? Sì, è l’INPS a farsi carico dell’accredito dei contributi necessari al conseguimento del diritto alla pensione.

Pensioni: viene riconosciuto il periodo in cui si è in cassa integrazione?

Pensioni: i periodi di cassa integrazione sono riconosciuti ai fini previdenziali?

L’emergenza da COVID-19 ha “messo” migliaia di lavoratori in cassa integrazione; le aziende, costrette a sospendere la propria attività o comunque a fare i conti con una contrazione dei guadagni tale da non permettere di farsi carico dello stipendio di tutti i dipendenti, hanno usufruito degli strumenti messi a disposizione dal Governo, come ad esempio delle diciotto settimane di cassa integrazione (alle quali se ne sono aggiunte recentemente altre quattro) riconosciute dal Decreto Cura Italia e dal Decreto Rilancio.

A tal proposito i lavoratori in cassa integrazione - che oltre a dover far fronte ad una riduzione del compenso, devono anche rispettare determinati obblighi e divieti - si chiedono quali ripercussioni avrà questo periodo sulla pensione futura, o meglio se nei giorni in cui l’attività lavorativa è sospesa vengono comunque riconosciuti i contributi utili ai fini previdenziali.

Trattandosi di un ammortizzatore sociale, infatti, verrebbe da pensare che cassa integrazione e pensione non vadano d’accordo. In realtà non è così: anche il periodo in cui il lavoratore sospende - o comunque riduce - l’attività lavorativa percependo il trattamento di integrazione salariale è riconosciuto ai fini della pensione futura. In che modo? Scopriamolo.

Cassa integrazione e pensione: chi versa i contributi al lavoratore?

Nei periodi coperti dall’integrazione salariale è l’INPS a farsi carico - pienamente o in maniera parziale - del pagamento dello stipendio del lavoratore. Fa parte dei diritti del lavoratore in cassa integrazione, però, anche quello per cui gli vengano riconosciuti i contributi previdenziali come se avesse effettivamente lavorato.

Ad oggi, quindi, i periodi di cassa integrazione sono considerati utili ai fini della maturazione del diritto alla pensione, di qualunque opzione si tratti (qui le strade possibili per smettere di lavorare nel 2021). I contributi accreditati per questi periodi sono validi sia per l’acquisizione del diritto che per il calcolo dell’importo dell’assegno futuro; quindi non ci sono penalizzazioni sulla pensione per coloro che sono in cassa integrazione, indipendentemente dalla forma della stessa (quanto detto, infatti, vale tanto per quella ordinaria che per la straordinaria).

Ma chi versa questi contributi? È l’INPS, accreditando i cosiddetti contributi figurativi sul conto assicurativo del lavoratore. Questi fanno riferimento ai periodi in cui si è verificata l’interruzione o la riduzione dell’attività lavorativa e in cui il versamento dei contributi non spetta né al datore di lavoro né tantomeno al lavoratore stesso (attraverso, ad esempio, il riscatto o il versamento volontario): è l’INPS, utilizzando le risorse pubbliche messe a disposizione, ad occuparsi personalmente dell’accredito, il quale nel caso della cassa integrazione avviene d’ufficio e quindi senza che sia necessaria la domanda da parte del lavoratore (come invece avviene nei casi in cui ci si assenta dal lavoro per malattia o infortunio).

Contributi figurativi per i lavoratori in cassa integrazione: come si calcolano?

Nonostante sotto cassa integrazione si abbia diritto al riconoscimento dei contributi, c’è da dire che, come per lo stipendio, c’è un piccolo svantaggio per il lavoratore. I contributi riconosciuti, infatti, non sono comunque pari a quelli che sarebbero stati accreditati nel caso in cui il lavoratore avesse continuato a lavorare regolarmente.

Per chi è in cassa integrazione, infatti, i contributi figurativi sono determinati prendendo come riferimento la retribuzione utilizzata per il calcolo dell’integrazione salariale, che generalmente - salvo alcune eccezioni - è pari all’80% della retribuzione persa. Su questa si applicano le relative aliquote previdenziali, ai fini di calcolare quanto l’INPS dovrà accreditare a titolo di contribuzione figurativa.

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