Pensioni, il governo riflette sul futuro. Eliminare gli anticipi sarebbe utile, ma troppo rischioso sul piano politico.
Per il prossimo anno il governo dovrà decidere cosa fare delle pensioni, o meglio quanto - e se - investire in questo ambito.
Anche per la prossima legge di Bilancio, così come è stato per le precedenti manovre finanziarie, il governo dovrà infatti fare delle scelte oculate considerando dei vincoli di spesa particolarmente restrittivi, anche alla luce della revisione - al ribasso - delle prospettive di crescita del Paese. A complicare ulteriormente il quadro si aggiunge il conto da 6,6 miliardi di euro che l’Inps dovrà saldare nei prossimi anni, a causa dello stralcio dei crediti contributivi non riscossi. Si tratta di una cifra che, secondo il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps, dovrà essere coperta con risorse pubbliche, incidendo ancora di più sulla disponibilità di fondi per il welfare e la previdenza.
Alla luce di questi elementi, è evidente che gran parte delle risorse stanziate con la prossima manovra sembrano già prenotate: il che significa che lato pensioni non dovrebbero esserci novità rilevanti, almeno in positivo. Anzi, visto il contesto, c’è chi teme che per le regole di pensionamento possa esserci un peggioramento rispetto a quanto succede oggi, con l’addio alle misure di flessibilità che consentono di andare in pensione in anticipo e il ritorno integrale alle regole fissate dalla legge Fornero per le pensioni di vecchiaia. Una scelta che, seppur impopolare, si rivelerebbe sempre più necessaria per garantire l’equilibrio dei conti pubblici e la tenuta del sistema previdenziale.
Senza dimenticare che con la prossima legge di Bilancio il governo sarà chiamato anche a decidere se intervenire per bloccare l’adeguamento automatico dei requisiti anagrafici e contributivi all’aumento della speranza di vita, previsto per il 2027: un meccanismo che, se confermato, renderà ancora più rigido l’accesso alla pensione.
Quanto ha speso l’Italia negli ultimi 6 anni per assistenza e previdenza
Dal 2019, con l’arrivo della Lega al governo (insieme al Movimento 5 Stelle), la spesa per le pensioni è aumentata notevolmente. Inizialmente è stata introdotta Quota 100, rimasta in vigore fino al 2021; successivamente, il governo Draghi ha dovuto necessariamente varare Quota 102 per limitare il numero di “esodati”.
Con l’insediamento del governo di centrodestra è stata poi la volta di Quota 103, attiva per il triennio 2023-2025, seppur con il ricalcolo contributivo dell’assegno nell’ultimo biennio per chi vi ricorre.
Si tratta di operazioni che, negli ultimi anni, hanno contribuito a incrementare di 70 miliardi di euro la spesa complessiva per previdenza e assistenza. E il futuro non appare più roseo: la spesa pensionistica in rapporto al Pil è prevista in crescita, fino a raggiungere il 17,1% entro il 2040, per poi iniziare a calare e scendere sotto il 14% a partire dal 2060.
È vero che non è tutta colpa delle misure di flessibilità, ma queste rappresentano comunque una delle principali cause dell’aumento dei costi. A trainare la spesa sono state, oltre alle misure che hanno anticipato il pensionamento rispetto ai requisiti ordinari, anche quelle assistenziali come il Reddito di cittadinanza, l’Assegno di inclusione e gli interventi a sostegno della famiglia, tra cui l’Assegno unico.
Pensioni osservate speciali
Alla luce della suddetta situazione, il capitolo pensioni è tra quelli che stanno richiedendo il maggior approfondimento da parte dei tecnici del ministero dell’Economia e finanza dove le idee comunque sembrano essere piuttosto chiare: come spiegato in più occasioni dal ministro dell’Economia e delle finanze, il leghista Giancarlo Giorgetti, oggi l’Italia non può sostenere una riforma delle pensioni, complice anche il basso tasso di natalità che in futuro potrebbe comportare una netta riduzione delle entrate contributive dell’Istituto.
Semmai si può intervenire diversamente, ad esempio con una riforma strutturale finalizzata a incentivare le iscrizioni ai fondi per la pensione complementare.
Cosa succederà?
Al momento è ancora presto per rispondere alla domanda su cosa ne sarà delle pensioni, poiché gli scenari possibili sono diversi.
Come anticipato, è da escludere che possa esserci - né ora né mai, almeno per i prossimi 10 anni - un intervento volto a superare la legge Fornero, come invece era stato promesso da Matteo Salvini in campagna elettorale. Così come appaiono nulle le speranze che le pensioni minime possano salire a 1.000 euro, obiettivo ambizioso e simbolico per Forza Italia, in quanto rappresenta una delle tante “eredità” lasciate da Silvio Berlusconi.
A questo punto, le strade sono due: da una parte potrebbe esserci un addio totale alle misure di flessibilità e di fatto un ritorno integrale alle regole fissate dalla legge Fornero, con la conseguente abolizione di Quota 103 e la possibile archiviazione anche di Opzione Donna.
Dall’altra, si potrebbe proseguire lungo il solco tracciato dall’ultima legge di Bilancio, che - pur senza ammetterlo apertamente - ha già utilizzato il capitolo pensioni per recuperare risorse da destinare ad altre misure.
In quest’ottica, Quota 103, pur con una penalizzazione in uscita, potrebbe essere confermata ancora per un anno, così come Opzione Donna (che comunque, alle condizioni attuali, interessa un numero molto limitato di lavoratrici). Per quanto riguarda le pensioni minime, invece, si profilerebbe la conferma della rivalutazione straordinaria, anche se ridotta: dal prossimo anno scenderà infatti all’1,7%.
Tutto, quindi, rimarrebbe sostanzialmente invariato, permettendo al governo di evitare l’impatto mediatico di un ritorno integrale alle regole della Fornero. Con buona pace dei conti pubblici.
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