Pensioni, riforma delle pensioni in lavorazioni. Tre le soluzioni possibili per bloccare l’aumento dell’età pensionabile.
In questi ultimi giorni che separano il governo dal Consiglio dei ministri durante il quale verrà approvata la legge di Bilancio, i ministeri dell’Economia e del Lavoro stanno riflettendo sulla migliore soluzione possibile per bloccare il meccanismo che adegua l’età pensionabile alle speranze di vita.
Un sistema che la legge Fornero ha fissato ogni biennio e che, come certificato dall’Istat, porterà a un aumento di 3 mesi dell’età pensionabile. Un incremento che il governo vorrebbe evitare, ma senza impattare troppo sui conti pubblici. Ecco perché nonostante dalla Lega abbiano più volte assicurato che l’aumento non ci sarà, la soluzione non sarà così lineare come si pensava.
Con un tesoretto di 15 miliardi di euro, non è pensabile congelare per tutti l’aumento dell’età pensionabile, visto che una tale operazione avrebbe un costo di circa 3 miliardi di euro. Ecco quindi che si stanno valutando delle alternative al fine di far quadrare i conti: nel dettaglio, le ipotesi per bloccare la legge Fornero sono tre, vediamo quali.
Niente aumento dell’età per la pensione per chi ha compiuto 64 anni
Come anticipato, evitare l’aumento dei requisiti previsto dal 2027 non sarà semplice: il meccanismo Fornero, che adegua ogni 2 anni l’età pensionabile alle speranze di vita, garantisce la sostenibilità del sistema e sospenderlo del tutto avrebbe costi elevati.
Per questo il governo sta studiando una soluzione “selettiva”: escludere dall’aumento solo chi nel 2027 avrà già compiuto 64 anni, ossia i nati entro il 1963.
In questo modo, la misura interesserebbe soprattutto la pensione anticipata ordinaria, lasciando invariati i requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni di età e 20 anni di contributi) e per la pensione anticipata contributiva (64 anni di età e 25 anni di contributi).
Chi supera la soglia dei 64 anni di età, quindi, potrà continuare ad andare in pensione con gli attuali 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 mesi per le donne), mentre per gli altri l’età effettiva di uscita si alzerà di 3 mesi, arrivando quindi a una sorta di Quota 43.
Una scelta che permetterebbe di limitare i costi a circa 300 milioni di euro, ma che al tempo stesso escluderebbe quasi il 90% di chi oggi accede alla pensione anticipata).
Sì all’aumento dell’età pensionabile, ma progressivo
In alternativa alla distinzione per fasce anagrafiche, il governo potrebbe optare per un aumento dell’età pensionabile generalizzato ma graduale. L’incremento riguarderebbe quindi tutte le misure di pensionamento, ma non scatterebbe interamente da subito.
Nel dettaglio, si partirebbe con un aumento di un mese a partire dal 2027, seguito da un ulteriore mese nel 2028. Solo dal 2029 si arriverebbe all’adeguamento pieno, con l’età pensionabile che salirebbe complessivamente di 3 mesi. Va però precisato che il 1° gennaio 2029 è previsto un nuovo aggiornamento automatico in base alle speranze di vita: qualora l’Istat dovesse accertare un ulteriore incremento della longevità, l’età pensionabile potrebbe aumentare ancora.
Blocco dell’età pensionabile solo per alcune categorie
La terza ipotesi al vaglio del governo sarebbe la più economica, ma anche quella destinata a coinvolgere il minor numero di lavoratori. Si tratterebbe infatti di un intervento selettivo, mirato a tutelare soltanto alcune categorie considerate “fragili” o impiegate in mansioni particolarmente pesanti.
In questa prospettiva, il blocco dell’aumento dei requisiti potrebbe essere limitato ai lavoratori precoci, cioè coloro che hanno iniziato a versare contributi prima dei 19 anni (almeno 12 mesi) e che oggi possono accedere alla pensione con Quota 41, anch’essa soggetta agli adeguamenti alla speranza di vita.
Allo stesso modo, la misura potrebbe essere estesa a coloro che svolgono lavori usuranti o gravosi, come quelli del settore edilizio, dei trasporti, della sanità o della sicurezza, dove le condizioni psico fisiche richieste rendono più difficile prolungare ulteriormente l’attività lavorativa.
L’obiettivo sarebbe quello di riconoscere un principio di equità sociale, distinguendo tra chi svolge mansioni d’ufficio e chi invece è impegnato in lavori manuali o ad alto rischio. Un’operazione del genere, pur con un impatto limitato sui conti pubblici, consentirebbe di mantenere una forma di tutela per le categorie più esposte, salvaguardando al tempo stesso l’equilibrio del sistema previdenziale.
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