Pensione di reversibilità, 140 euro al mese al figlio orfano: “Prende più soldi chi non ha mai lavorato”

Simone Micocci

28 Aprile 2024 - 09:30

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A 15 anni senza i genitori e con soli 140 euro di pensione. Non un caso isolato purtroppo, al quale si potrebbe porre una soluzione estendendo il diritto alla pensione minima per i contributivi puri.

Pensione di reversibilità, 140 euro al mese al figlio orfano: “Prende più soldi chi non ha mai lavorato”

Quando un figlio minorenne perde un genitore ha diritto a una parte della pensione fino a quel momento maturata dal defunto (anche se non ancora liquidata).

Il problema è che le attuali regole sulla cosiddetta pensione indiretta (da non confondere con quella di reversibilità) aggiunte al sistema di calcolo contributivo che si applica su tutti i periodi contributivi successivi al 1° gennaio 1996, fanno sì che in alcuni casi gli importi riconosciuti ai figli siano davvero miseri.

Le carenze dell’attuale sistema si notano nel caso dei figli che improvvisamente si trovano senza genitori, non necessariamente per il decesso di entrambi.

800 euro alla morte del padre

La storia che vogliamo raccontarvi parla di Federica (classe 1987) e di sua figlia Marta (nomi di fantasia), quest’ultima nata nel 2008 e cresciuta per gran parte degli anni solo con la madre vista la morte prematura del padre.

L’uomo è morto nel 2009 all’età di 25 anni e non avendo contributi sufficienti per far scattare il diritto alla pensione ai superstiti (almeno 15 anni di contributi oppure 5 anni versati negli ultimi 3) la famiglia ha beneficiato della sola indennità una tantum ai superstiti che nel caso di coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 è pari all’ammontare mensile dell’Assegno sociale, in vigore alla data di decesso dell’assicurato, moltiplicato per il numero degli anni coperti da contribuzione, 2 nel suo caso. Alla famiglia è quindi andato un assegno di poco superiore a 800 euro (l’Assegno sociale era pari a 409,05 euro), costo appena sufficiente per coprire una parte delle spese del funerale.

Federica riesce a trovare un lavoro, ma ovviamente non mancano le difficoltà di crescere una figlia da sola. Nei primi anni è costretta ad accontentarsi di lavori part-time, salvo poi passare a un full-time quando Marta è diventata più grande non necessitando così di assistenza costante.

La malattia della madre, 140 euro di pensione

Tuttavia, Federica nel 2022 si ammala gravemente: il decesso avviene nel 2023, quando Marta ha 15 anni e frequenta, brillantemente, gli studi. Dal decesso di Federica viene riconosciuta a Marta la cosiddetta pensione indiretta, che si distingue dalla pensione di reversibilità per il solo fatto che il dante causa non era ancora pensionato.

La pensione indiretta, infatti, spetta a coloro che alla data del decesso hanno perfezionato 15 anni di anzianità assicurativa e contributiva, o in alternativa 5 anni di cui almeno 3 nel quinquennio precedente.

Per il resto non ci sono differenze con la reversibilità, come ad esempio la quota spettante al figlio: il 70%. Con 12 anni di contributi pieni e una retribuzione in media di 15.000 euro l’anno, Federica era riuscita ad accumulare un montante contributivo di circa 60 mila euro: applicando il coefficiente di trasformazione del 4,270% ne è risultata una pensione annua di 2.560 euro, 197 euro al mese. A Marta ne è andato il 70%, quindi circa 138 euro al mese (importo non soggetto all’integrazione al trattamento minimo in quanto la pensione è stata calcolata interamente con il contributivo).

Poco meno di 140 euro mensili: è questo l’importo che Marta si trova a percepire nonostante la disgrazia subita, soldi ai quali si aggiunge l’Assegno unico che nel suo caso è pari a 199,40 euro.

In totale, quindi, arriva a un sostegno mensile di 340 euro, soldi che di certo non sono adeguati alla sopravvivenza di una giovane che mantiene il sogno di laurearsi pur dovendo fare i conti con le difficoltà che la vita gli ha messo davanti.

Prende più chi non ha mai lavorato, che fine ha fatto la pensione di garanzia?

Una storia che mette in risalto le lacune di un sistema che presenta una grave mancanza: non riconoscere l’integrazione al minimo della pensione per chi ha la pensione calcolata interamente con il contributivo.

Una carenza su cui la presidente del Consiglio aveva promesso di intervenire già nel discorso di insediamento in Parlamento, ma che a oggi non ha visto il governo fare passi avanti. Le (poche) risorse a disposizione sono state utilizzate per misure che attraggono maggiormente la platea elettorale, come dimostrato da Quota 103, mentre per la cosiddetta “pensione di garanzia” non si è mai entrati nel vivo della discussione.

Il che è paradossale, perché a queste condizioni c’è il rischio che una persona che non ha mai lavorato prenda più soldi - ad esempio attraverso l’Assegno sociale, oppure nel caso dell’Assegno di inclusione - di chi nonostante le difficoltà si è rimboccato le mani senza mai pesare sulle casse dello Stato.

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