Tra fisco, spesa sociale e sanità, l’Italia resta intrappolata in un sistema frammentato: tasse sul lavoro alte, sgravi alle imprese e riforme senza coerenza.
Bisogna essere onesti: in materia fiscale, in trent’anni ne abbiamo viste tutte di tutti i colori, dalla “minimum tax” alla “no tax area”, per arrivare alla “flat tax”. Ricette miracolose dal punto di vista del marketing politico: servivano a macinare consenso e voti. Intanto, il fisco ha continuato a macinare incassi, imperterrito, usando la clava degli accertamenti.
Per il resto, non si sa davvero da che parte cominciare, per descrivere il caos della spesa pubblica sociale, che barcolla tra i principi costituzionali della universalità dei diritti e delle prestazioni ed un groviglio di deroghe che servono sia a fini assistenziali sia a consentire una concorrenza tra il sistema pubblico e l’offerta privata.
Sul piano politico, all’inizio il principio era chiarissimo: il lavoro dipendente doveva essere pesantemente tassato per evitare che il salario finisse tutto in consumi personali effimeri. Lo Stato, facendosi versare direttamente dal datore di lavoro una fetta consistente del salario attraverso la ritenuta alla fonte, avrebbe destinato queste risorse alla spesa per servizi sociali: istruzione, sanità, abitazioni.
[...]
Accedi ai contenuti riservati
Navighi con pubblicità ridotta
Ottieni sconti su prodotti e servizi
Disdici quando vuoi
Sei già iscritto? Clicca qui
© RIPRODUZIONE RISERVATA