Nessun obbligo di fedeltà: il datore di lavoro va denunciato

Vittorio Proietti

6 Giugno 2017 - 18:30

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L’obbligo di fedeltà del lavoratore dipendente non esonera dalla denuncia di illeciti e comportamenti scorretti. Il diritto di critica è concesso, a patto che esso non si trasformi in reato di diffamazione.

Nessun obbligo di fedeltà: il datore di lavoro va denunciato

L’obbligo di fedeltà del lavoratore dipendente non esonera dalla denuncia di illeciti e comportamenti scorretti. La Corte di Cassazione nella Sentenza 4125/2017 ha prosciolto un lavoratore licenziato per una critica all’azienda.

La Sentenza ricorda che in caso di falso possono prendersi misure disciplinari, ma la denuncia di un illecito non può comunque prevedere il licenziamento per giusta causa, a meno che non si dimostri un danno per l’azienda.

Il diritto di critica è infatti concesso a patto che non si trasformi in reato di diffamazione, poiché il Codice Civile permette al datore di lavoro di rivalersi sul dipendente con un risarcimento per il danno d’immagine subito.

Vediamo cosa s’intende per obbligo di fedeltà del lavoratore verso il proprio datore di lavoro e quali sono i limiti del diritto di critica.

Obbligo di fedeltà e diritto di critica: diritti e doveri del lavoratore

Per obbligo di fedeltà s’intende la condotta del lavoratore come sancita dall’Art. 2105 del Codice Civile, quindi il divieto di trattare affari in proprio o per conto di altri in concorrenza al proprio datore di lavoro e l’obbligo della riservatezza degli affari stessi.

L’obbligo di fedeltà impone infatti al dipendente di non compiere atti che ledano l’immagine e l’attività economica dell’azienda, ma ciò non significa permettere al datore di lavoro di violare la legge o perpetrare condotte scorrette.

Per questo motivo, lo Statuto dei Lavoratori (Art. 1) ammette il diritto di critica da parte del dipendente nei luoghi in cui presta opera, in rispetto dei principi costituzionali di manifestazione del proprio pensiero.

Il diritto di critica del lavoratore, però, non può superare il limite della verità, in quanto come vedremo nella Sentenza citata, la diffamazione può portare a sanzioni disciplinari e alla richiesta di risarcimento da parte del datore di lavoro.

La Sentenza a favore del diritto di critica

La Sentenza 4125/2017 della Corte di Cassazione riporta il ricorso di una lavoratore licenziato per aver leso l’immagine dell’azienda. Il datore di lavoro ha infatti disposto il licenziamento come sanzione disciplinare per non aver rispettato l’obbligo di fedeltà sancito dal Codice Civile.

La critica emessa dal lavoratore dipendente era stata giudicata nei primi due gradi come lesiva dell’azienda, tanto da poterne arrecare pregiudizio nel caso di divulgazione. Così come attestato, il rapporto di lavoro non poteva proseguire ed il licenziamento è stato confermato anche dai giudici.

La Sentenza di Cassazione ha però prosciolto il lavoratore ed ordinato il reintegro nel posto di lavoro: malgrado il diritto di critica non debba trasformarsi in diffamazione, il lavoratore non aveva diffuso informazioni, né divulgato la sua critica.

L’autorità giudiziaria era l’unica ad essere a conoscenza della critica del dipendente e secondo la Corte di Cassazione il potere e l’iniziativa di denuncia del cittadino sono valori civici da sollecitare. Il lavoratore non può essere minacciato di licenziamento, poiché esso sarà comunque illegittimo.

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