La lira turca affonda nuovamente al minimo storico dopo che Erdogan ha difeso tassi di interesse più bassi per stimolare la crescita economica e la creazione di posti di lavoro.
Non si ferma il momento buio e drammatico della lira turca: martedì 23 novembre la valuta è scesa a un altro minimo record di 12,49 per dollaro, un livello un tempo insondabile e ben oltre quella che solo la scorsa settimana era considerata la barriera psicologica di 11 lire per dollaro.
Il tonfo si è palesato dopo l’ennesimo intervento di Erdogan a difesa della sua teoria economica dei tassi bassi, ormai diventata una vera guerra all’indipendenza economica del Paese.
Cosa sta succedendo alla lira turca e quali previsioni sull’economia nazionale guidata dalle convinzioni del presidente?
Lira turca, è crollo storico: i motivi
Per la lira turca è un momento drammatico, con un’altra giornata campale a segnare un crollo da record.
La svendita di martedì 23 novembre della valuta è stata innescata dopo che il presidente Erdogan ha difeso i continui e controversi tagli dei tassi di interesse della sua banca centrale, con un aumento dell’inflazione a due cifre.
La mossa è stata sostenuta come un atto di guerra per l’indipendenza economica, rigettando con decisione le richieste di investitori e analisti di cambiare rotta.
La lira turca, quindi, ha subito l’ennesimo colpo ed è scesa oltre 12 per dollaro, scambiata del 5,6% in meno a 12.0580 per biglietto verde alle 11:28 a Istanbul.
Per gli analisti, la situazione si sta assai aggravando. L’inflazione in Turchia è ora vicina al 20%, il che significa che i beni di base per la popolazione di circa 85 milioni di abitanti sono aumentati vertiginosamente e i loro stipendi in valuta locale sono fortemente svalutati.
Secondo Reuters, la lira ha perso quasi il 40% del suo valore quest’anno e il 20% dall’inizio della scorsa settimana.
La svalutazione della moneta è iniziata nel 2018, spinta da una combinazione di tensioni geopolitiche con l’Occidente, deficit delle partite correnti, riduzione delle riserve valutarie e aumento del debito, ma soprattutto dal rifiuto di aumentare i tassi di interesse per raffreddare l’inflazione.
Mentre la maggior parte delle banche centrali parla di inasprimento, poiché la ripresa globale alimenta l’impennata dei prezzi, la decisione della Turchia di ridurre di 4 punti percentuali i tassi sui prestiti da settembre ha scosso i mercati e frustrato gli investitori che lamentano che la sua politica monetaria sta diventando sempre più irregolare e imprevedibile.
La teoria economica di Erdogan
Erdogan, di fatto, continua a pressare e a condizionare la banca centrale con i suoi discutibili assunti economico-finanziari.
Secondo il presidente, la Turchia ha ormai abbandonato le vecchie politiche basate su alti costi di prestito e una valuta forte in nome del rallentamento dell’inflazione, e si è invece spostata su un nuovo assetto che offre priorità a maggiori investimenti, esportazioni e forte creazione di posti di lavoro.
In realtà, secondo l’agenzia di rating Fitch, ad agosto il 57% del debito del governo centrale turco era legato o denominato in valuta estera, il che significa che pagare quel debito sarà molto difficile con la lira in continua perdita di valore.
“Stiamo assistendo a un esperimento economico perverso di ciò che accade quando una banca centrale non ha effettivamente una politica monetaria”, ha sostenuto Tim Ash, stratega senior dei mercati emergenti presso Bluebay Asset Management.
Gli ha fatto eco Semih Tumen, ex vice governatore della banca centrale che Erdogan ha licenziato a ottobre, con un messaggio su Twitter:
“Dobbiamo abbandonare questo esperimento irrazionale, che non ha possibilità di successo, e tornare a politiche di qualità che tutelino il valore della lira turca e il benessere del popolo turco.”
Lo scenario resta molto cupo per il Paese. Gli economisti avvertono che tale logica rischia di creare iperinflazione in una nazione che dipende fortemente dall’energia e dalle materie prime importate.
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