L’emendamento oro alla Patria alla legge di bilancio 2026 formulato dal partito di Meloni non piacerebbe affatto al MEF, che parla di “esproprio”. Il precedente.
Oro di Bankitalia allo Stato? “Un esproprio”: così i tecnici del MEF di Giancarlo Giorgetti, che sarebbero decisamente contrari alla proposta presentata da Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Proposta racchiusa nello slogan Oro alla Patria che, prima di FdI, ai tempi del governo M5S-Lega, era stato sbandierato dal Carroccio di Matteo Salvini in diverse occasioni. E proposta che ha preso corpo con un emendamento alla legge di bilancio 2026, considerato tra l’altro ammissibile, dunque alla manovra di Meloni, firmato da Lucio Malan.
A riportare in via esclusiva la notizia del no del Ministero dell’Economia e delle Finanze alla proposta di trasferire la proprietà delle riserve auree presenti nei forzieri di Via Nazionale nelle mani degli italiani, così come auspicato da Fratelli d’Italia, è l’articolo pubblicato oggi sul quotidiano La Repubblica, dal titolo “Manovra, il no del Tesoro al prelievo dell’oro di Bankitalia. “Sarebbe un esproprio”.
MEF di Giorgetti all’attacco contro emendamento FdI oro alla Patria, “un esproprio”
Nell’articolo di La Repubblica, Giuseppe Colombo così scrive:
“Un esproprio. Ecco cosa accadrebbe se il Parlamento approvasse l’emendamento alla manovra di Fratelli d’Italia per trasferire l’oro di bankitalia allo Stato. L’effetto collaterale spunta in un documento dei tecnici del Tesoro. Sono loro a scrivere che il passaggio di proprietà realizzerebbe ’una sorta di nazionalizzazione a contenuto espropriativo della riserva aurea”.
La Repubblica ha fatto riferimento a un documento dei tecnici del MEF che ha potuto visionare.
Stavolta la critica alla logica dell’oro alla Patria non arriva dunque dal mondo degli economisti o dai banchi dell’opposizione al governo Meloni, ma dagli stessi tecnici del Ministero dell’Economia e delle Finanze guidato da Giancarlo Giorgetti.
E non è neanche la prima volta che il MEF finisce in rotta di collisione con i partiti di maggioranza.
Il precedente del no del MEF agli slogan di Meloni & Co. La lettera shock sul MES del 2023
Un grande precedente risale a qualche anno fa, esattamente in data 21 giugno 2023, quando proprio da Via XX Settembre arrivò la lettera shock che sconfessò la grande paura del governo Meloni per la riforma del MES, Meccanismo europeo di Stabilità che vede tuttora l’Italia l’unico Paese dell’UE a non aver apposto la firma alla ratifica.
Quel giorno, le paure della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del vicepremier, leader della Lega e Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini vennero praticamente sbugiardate dai tecnici del MEF, che scrissero come l’Italia non solo non corresse alcun rischio nel ratificarne la riforma, ma come potesse anzi beneficiarne in termini di rating.
“Per quanto riguarda gli effetti diretti sulle grandezze di finanza pubblica, dalla ratifica sul suddetto Accordo (ovvero dalla ratifica del MES) non discendono nuovi o maggiori oneri rispetto a quelli autorizzati in occasione della ratifica del Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità del 2012”.
Ancora: “Non si rinvengono nell’Accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio (relativo al nuovo Fondo Salva Stati) ”, così come “non si ha notizia che un peggioramento del rischio del MES sia stato evidenziato da altri soggetti quali le agenzie di rating, che hanno invero confermato la più alta valutazione attribuitagli anche dopo la firma degli accordi sulla riforma”.
Per quanto riguarda anzi la possibilità di un premio sul rating dell’Italia grazie all’utilizzo del MES, i tecnici del MEF, due anni fa, così scrissero:
“È possibile che la riforma del MES nella misura in cui venga percepita come un segnale di rafforzamento della coesione europea, porti ad una migliore valutazione del merito di credito degli Stati membri aderenti, con un effetto più pronunciato per quelli a più elevato debito come l’Italia”.
Insomma, già una volta i tecnici del Tesoro smentirono gli slogan del governo Meloni. Questo, mentre la mancata ratifica della riforma del MES continua a preoccupare l’Europa, in particolare la BCE di Christine Lagarde, che più volte e anche di recente ha lanciato un monito all’Italia.
Oro alla Patria, gli alert lanciati dall’ex di Bankitalia
A quanto pare, gli stessi ora sono pronti a mettersi di nuovo di traverso alle mire dei partiti di maggioranza, in particolare del partito di Meloni, Fratelli d’Italia, che continua a invocare il trasferimento di proprietà dell’oro detenuto dalla Banca d’Italia al popolo italiano. Alla Patria per l’appunto, a dispetto degli allarmi che, tra gli altri, sono stati lanciati dall’ex direttore generale di Bankitalia Salvatore Rossi.
In una recente intervista al quotidiano La Stampa Rossi ha elencato tutti i pericoli che la proposta di Fratelli d’Italia presenta.
Tra questi, anche un rischio reputazionale per l’Italia stessa:
“Far scendere sistematicamente il livello delle riserve auree per dare sollievo alla finanza pubblica”, ha avvertito Rossi, facendo riferimento al possibile desiderio di utilizzare l’oro della Banca d’Italia per cercare di ovviare all’annoso problema del debito pubblico - che, pur con tutti gli sforzi che sta facendo il governo Meloni nel cercare di rimettere in riga i conti è destinato a continuare a oscillare a livelli monstre anche nei prossimi anni - “ equivale a dire al mondo: siamo ridotti al punto di doverci vendere l’oro, perché non abbiamo più altre risorse”.
In un’intervista rilasciata poi al quotidiano MF-Milano Finanza pubblicata nella giornata di ieri, l’ex direttore generale di Bankitalia ha ribadito di nuovo tutta la propria perplessità, rispondendo alla richiesta di un commento sull’emendamento della manovra Meloni che recita che le riserve auree di Bankitalia “appartengono allo Stato in nome del popolo italiano ”:
“Non capisco a cosa serva e a cosa miri. L’emendamento, qualora diventasse norma di legge, si scontrerebbe inevitabilmente con il diritto europeo. I Trattati europei affermano che le riserve auree sono di proprietà delle banche centrali e ne vietano l’utilizzo nel bilancio pubblico. Mi domando perché innescare un conflitto con l’Europa per affermare un principio di fatto già rispettato: a ben vedere, nella pratica è ovvio che le riserve auree appartengano al popolo, perché una banca centrale è un ente pubblico, detiene e gestisce l’oro nell’interesse dei cittadini”.
E già ieri il quotidiano La Repubblica aveva pubblicato un articolo dal titolo “ Ma la BCE è pronta a opporsi alla norma ” dell’oro alla Patria, avvertendo come l’Italia rischiasse di entrare in rotta di collissione sia con l’UE che con la Banca centrale europea.
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