Mentre tutti guardano l’oro, un altro metallo vive squilibri profondi tra domanda, offerta e transizione energetica. Il mercato potrebbe non aver ancora deciso chi sarà il vero protagonista.
Se l’oro continua a dominare le narrazioni finanziarie, non è detto che sia l’unico protagonista del prossimo ciclo. Negli ultimi mesi il metallo giallo è diventato quasi un riflesso automatico per chi cerca protezione, valore rifugio e copertura contro instabilità monetaria e geopolitica. Tuttavia, quando un asset entra in una fase di consenso quasi unanime, diventa legittimo chiedersi se parte del suo potenziale non sia già stato anticipato dai prezzi.
Alcuni indicatori di posizionamento, insieme a statistiche di lungo periodo, iniziano a suggerire una certa iper estensione, anche se, come sempre, tutto resta relativo finché il contesto macro lo giustifica. Guardando al 2026, la domanda diventa quindi più sottile.
Siamo sicuri che l’attenzione debba restare concentrata solo sull’oro oppure esiste un’altra materia prima, meno celebrata ma strutturalmente interessante, che potrebbe trovarsi all’inizio di un nuovo riequilibrio?
Oltre l’oro: entra in scena il mondo dei pgms
Platino e palladio appartengono ai cosiddetti Platinum Group Metals, un gruppo di metalli rari che include anche rodio, iridio e rutenio. A differenza dell’oro, la loro funzione non è principalmente monetaria o ornamentale, bensì industriale e strategica. Si tratta di metalli critici per il settore dei trasporti, per l’industria chimica avanzata e per alcuni segmenti chiave della transizione energetica. Il loro utilizzo principale è legato ai catalizzatori, dispositivi fondamentali per ridurre le emissioni nocive dei motori a combustione interna. Questo elemento rende la domanda di platino e palladio strutturalmente connessa alle normative ambientali globali, un fattore spesso sottovalutato quando si guarda esclusivamente al prezzo spot.
Circa l’80% della domanda globale di palladio proviene dal settore automotive, mentre per il platino la quota si aggira intorno al 40%. Nei motori a benzina prevale l’utilizzo del palladio, mentre nei motori diesel il platino resta dominante. Questa distinzione tecnica ha avuto implicazioni enormi sulle dinamiche di prezzo dell’ultimo decennio.
Dinamiche storiche e squilibri di prezzo
Negli anni 2010, gli scandali legati alle emissioni diesel hanno accelerato una transizione forzata verso i motori a benzina. Questo shift tecnologico e normativo ha innescato un boom della domanda di palladio, mentre il platino è rimasto indietro, penalizzato da una narrativa negativa legata al diesel. Il risultato è stato uno squilibrio estremo. Nel 2021 il palladio ha superato i 3.000 dollari l’oncia, arrivando a valere quasi quattro volte il platino. Una distorsione storica, difficilmente giustificabile su base puramente fondamentale, ma spiegabile con dinamiche di scarsità, rigidità dell’offerta e domanda altamente concentrata.
Tuttavia, i mercati delle materie prime tendono a non tollerare a lungo queste asimmetrie. Nel tempo, i prezzi elevati incentivano la sostituzione tecnologica, l’efficienza industriale e la ricerca di alternative. Ed è proprio qui che il quadro inizia a cambiare.
Supply and demand: il caso del platino
Negli ultimi anni, il platino sembra trovarsi in una posizione strutturalmente più solida di quanto il prezzo lasci intendere. La domanda appare sostenuta, non solo dal settore automotive, ma anche da nuovi utilizzi emergenti, mentre l’offerta mostra segnali di fragilità. Le stime più recenti indicano una produzione mineraria prevista in calo di circa il 6%. Questo dato non è marginale, perché il mercato del platino è relativamente piccolo e poco elastico. Riduzioni anche modeste dell’offerta possono tradursi in deficit strutturali persistenti.
In parallelo, sta emergendo un processo di sostituzione del palladio con il platino nei catalizzatori per motori a benzina. Dal punto di vista chimico, il platino può svolgere funzioni simili, e dal punto di vista economico risulta oggi decisamente più conveniente. Questo fenomeno non è immediato né lineare, ma rappresenta un driver di medio periodo.
Il ruolo dell’idrogeno e la transizione energetica
Un ulteriore elemento spesso trascurato riguarda il ruolo del platino nell’economia dell’idrogeno. Il metallo è un componente chiave nei sistemi di elettrolisi e nelle celle a combustibile, tecnologie considerate strategiche in molti piani di transizione energetica a lungo termine. Anche se l’adozione di massa dell’idrogeno è ancora oggetto di dibattito, gli investimenti pubblici e privati stanno aumentando, creando una domanda potenziale che il mercato non sembra ancora prezzare pienamente.
Questa combinazione di deficit di offerta, sostituzione tecnologica e nuovi utilizzi industriali apre la porta a un possibile re rating strutturale del platino. Non si tratta di una scommessa ciclica di breve periodo, ma di un cambiamento graduale nelle fondamenta del mercato.
Rischi e variabili da monitorare
Naturalmente, nessuna tesi è priva di rischi. Il primo riguarda la velocità della transizione verso l’elettrico puro, che nel lungo termine potrebbe ridurre la domanda di catalizzatori tradizionali. Il secondo è legato alla volatilità tipica dei mercati dei metalli rari, spesso influenzati da fattori geopolitici e da shock sull’offerta concentrata in poche aree del mondo. Infine, il contesto macro globale resta determinante. Un rallentamento economico marcato potrebbe comprimere la domanda industriale nel breve termine, ritardando la piena espressione di queste dinamiche.
Quindi…
Guardare oltre l’oro non significa metterne in discussione il ruolo storico o strategico. Significa, piuttosto, riconoscere che i cicli delle materie prime sono complessi e multilivello. Il platino, oggi spesso ignorato o percepito come un metallo del passato, potrebbe invece trovarsi in una fase di transizione silenziosa, sostenuta da fattori strutturali più che da entusiasmo speculativo.
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