Qual è il percorso dell’Italia contro la violenza sulle donne? Ecco le leggi e le proposte nel corso del tempo e ancora attive per il contrasto alla violenza di genere.
Alla vigilia del 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è lecito domandarsi a che punto è l’Italia con la prevenzione, l’educazione e la punizione di reati di genere. La verità triste è che molti reati riconosciuti in altri Paesi, in Italia ancora non riescono a essere configurati in maniera da punire chiaramente l’abuser. Fin troppo spesso infatti si sentono giudici dare sentenze di innocenza o pene irrisorie a fronte di reati che vanno a ledere la persona da un punto di vista psicologico, oltre che fisico.
Ogni nuova sentenza di questo stampo, che potremmo definire “patriarcale”, è sintomatica di una cultura dello stupro, dove sono normalizzati pregiudizi come aver provocato attraverso un abito, l’aver bevuto o aver accettato un incontro sessuale per poi non rinnovare il consenso.
Proprio a partire dalla parola “consenso” andrebbe costruita una rivoluzione socioculturale. A oggi l’articolo 609 bis del Codice Penale, ossia quello che regola i casi di violenza sessuale, prevede un’ampia interpretazione del termine consenso. Tale parola, che sta alla base del riconoscimento di una violenza sessuale, si presta facilmente a interpretazioni sessiste e misogine.
Simili pregiudizi attenuano la punibilità anche in casi di reati con esiti più tragici, come un femminicidio. Tra le scusanti utilizzate, e spesso ben alimentate da una narrazione mediatica che attua una vittimizzazione secondaria, troviamo la riduzione degli atti di violenza per lite familiare, la gelosia intesa come “troppo amore” e infine il raptus, che giustifica una richiesta di momentanea infermità mentale.
Ma quindi cosa rischia davvero chi commette un reato iscrivibile nelle violenze di genere in Italia? A definirlo sono le leggi e le proposte che i governi anno dopo anno hanno confermato.
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Come ricorda Pagella Politica, dal 2013 ad oggi i governi e il Parlamento hanno approvato in media quasi un provvedimento all’anno per contrastare la violenza sulle donne. Giorgia Meloni su Facebook ha scritto che “ogni singola donna uccisa perché colpevole di essere libera è un’aberrazione che non può essere tollerata e che mi spinge a proseguire nella strada intrapresa per fermare questa barbarie”.
Negli ultimi giorni, dal femminicidio di Giulia Cecchetti in a oggi, abbiamo ripercorso diverse tappe del governo Meloni come il taglio del 70% dei fondi al contrasto e alle politiche contro la violenza di genere, fino alle proposte che risultano poco efficienti del Ministro Valditara e Nordio. Abbiamo anche introdotto, senza scendere nello specifico, il ddl Roccella convertito in legge.
Qual è la strada intrapresa dal governo Meloni? Forse sarebbe meglio dire il percorso intrapreso negli ultimi 10 anni dei vari governi, iniziato nel 2013. Infatti il 2013 è l’anno in cui l’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul e si è impegnata nella prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne. A pochi mesi di distanza infatti il governo Letta ha approvato un decreto legge ribattezzato proprio “Legge sul femminicidio” per modificare le norme sui maltrattamenti familiari e introdurre aggravanti per i reati commessi da partner ed ex partner. Sarà proprio questa legge a decretare la necessità di nuovi piani di azione contro la violenza sessuale e di genere, il primo di questo tipo è stato approvato dal governo Renzi nel 2015.
Piani antiviolenza: le quattro P
Nel 2015 sono stati avviati i “Piani nazionali sulla violenza maschile contro le donne”, più noti come Piani antiviolenza. Questi erano strutturati in quattro ambiti, che prendevano spunto dalla Convenzione di Istanbul, ovvero le quattro P: prevenzione, protezione sostegno, perseguire e punire, assistenza e promozione. Ognuna di queste P avevano bisogno di interventi e finanziamenti.
Il Codice Rosso: cosa ha cambiato
Nel 2018 il governo giallo-verde di Giuseppe Conte e Matteo Salvini ha presentato un disegno di legge, chiamato “Codice rosso”, che ha modificato il codice di procedura penale e aumentato tutele per la vittima di violenza di genere. Si tratta di una serie di procedure che hanno velocizzato la denuncia e le indagini. Convertito in legge a luglio del 2019, sono stati ulteriormente accelerati l’avvio dei processi penali per una serie di reati come lo stalking e la violenza sessuale.
“Codice rosso” a inoltre introdotto nuovi reati come: la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso della persona rappresentata; la deformazione dell’aspetto della persona evidenti lesioni permanenti; la costrizione o induzione del matrimonio; la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare.
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Gli impegni del governo Meloni
Il governo meloni si è impegnato apertamente, attraverso le parole della stessa premier, a combattere il fenomeno di femminicidio e altre forme di violenza di genere. Durante gli anni di mandato fino ad oggi svolti si sono verificati dei momenti piuttosto critici e il caso di Giulia Cecchetti è solo l’ultimo in ordine cronologico. Questo infatti a giugno 2022 aveva approvato un disegno di legge per la realizzazione di indagini statistiche con l’obiettivo di stimare con maggiore precisione la violenza contro le donne nella loro parte più sommersa.
È stata inoltre stata creata la prima Commissione d’inchiesta sui femminicidi di tipo bicamerale, ma dopo cinque riunioni ancora non sono stati realizzati dei documenti o fatte proposte. Dopo sei mesi, a luglio, i lavori sono finalmente iniziati e sembra che ora la Commissione collaborare con la famiglia di Giulia Cecchetti.
La legge Roccella contro la violenza sulle donne
Arriviamo così ai giorni nostri e all’approvazione definitiva del disegno di legge per il contrasto alla violenza degli uomini nei confronti delle donne. La legge Roccella è stata approvata all’unanimità da 157 senatori e senatrici, spinti dalla necessità di dare una risposta dopo l’ennesimo femminicidio.
Ma quali sono le intenzioni della nuova legge? Questa vuole rendere più semplice l’applicazione delle norme del Codice rosso, inasprire le pene e le misure coercitive e possibilmente favorire la prevenzione. Te le principali misure troviamo infatti l’estensione delle misure cautelari anche per le persone accusate di “reati spia”, cioè l’indicatori di violenza di genere come le percosse, le minacce gravi, la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti e la violazione di domicilio.
Nel testo si legge anche che nei “reati spia” risulterà il cosiddetto ammonimento, che permetterà di procedere d’ufficio in caso si riproponga un comportamento già un oggetto di accuse (non querela). In precedenza l’ammonimento era utilizzato per i reati come violenza domestica, cyberbullismo e stalking.
Si aggiunge anche il cosiddetto “arresto in flagranza differita” cioè attraverso prove video o fotografiche del maltrattamento, ma valgono anche documentazioni come chat o informazione fornita dal GPS. La condizione limite è che non si superino le quarantott’ore dal fatto documentato.
La velocizzazione delle pratiche è richiesta ai giudici, che hanno 30 giorni per richiedere misure cautelari dal momento in cui iniziano le indagini e altri 30 giorni per decidere se accogliere le richieste. Infine il giudice potrà imporre all’accusato di mantenere una distanza di almeno 500 metri e disporre l’uso del braccialetto elettronico.
Una serie di iniziative volte alla velocizzazione della denuncia e al processo, che hanno lo scopo di proteggere la vittima, ma non di prevenire un abuso o, nel caso di un femminicidio, di evitare la morte. Per questo ci sono le promesse, come la possibilità di introdurre forme di educazione al consenso, alla sessualità e ai sentimenti e altri strumenti di prevenzione voluti dal basso.
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