Rivalutazione delle pensioni, nel 2025 aumenti molto più bassi rispetto agli ultimi anni. Ma potrebbe essere utilizzato un sistema più vantaggioso.
Il prossimo aumento delle pensioni è atteso a inizio 2025 (già con il cedolino in pagamento a gennaio), tuttavia bisogna “dimenticarsi” degli importi riconosciuti in questi ultimi due anni perché spetterà molto meno.
Dopo due anni caratterizzati dall’elevata inflazione, provocata in particolare dalla crisi energetica, la situazione è tornata a essere sotto controllo e per questo motivo riceverai un aumento inferiore.
Negli ultimi due anni le pensioni sono aumentate rispettivamente dell’8,1% e del 5,4%, con aumenti che ad esempio su un assegno di 2.000 euro lordi sono stati pari a 160 e 108 euro. Questi incrementi non si ripeteranno: l’inflazione non preoccupa più, tanto che anche la Bce ha cambiato i piani della propria politica monetaria iniziando ad abbassare i tassi di interesse.
Nel Documento di economia e finanza per il 2024 è stata stimata per quest’anno un’inflazione all’1,6%, il che si ripercuoterà inevitabilmente sulla prossima rivalutazione riconoscendo aumenti che in alcuni casi saranno quasi irrilevanti. Pensiamo ad esempio a una pensione di 2.000 euro: dopo aver ricevuto quasi 270 euro di aumento mensile in due anni nel 2025 si dovrà “accontentare” di appena 32 euro lordi.
La buona notizia è che perlomeno questa inversione di tendenza potrebbe aprire le porte a un ritorno al meccanismo di rivalutazione originario (aiutato anche dalla possibilità che la Corte Costituzionale possa esprimersi contro i recenti tagli), ben più vantaggioso rispetto a quello a 6 fasce introdotto da Meloni con le ultime due leggi di Bilancio.
Inflazione più bassa, come possono aumentare le pensioni
Ogni anno le pensioni vengono adeguate al costo della vita grazie allo strumento conosciuto come perequazione, disciplinato dalla legge n. 448 del 1998.
Si tratta di una tutela molto importante per i pensionati, in quanto garantisce che il potere d’acquisto dell’assegno resti inalterato negli anni. D’altronde, mentre gli stipendi godono dei rinnovi di contratto, con relativi aumenti proporzionali all’inflazione, per le pensioni ovviamente non può essere così: ecco perché è stato previsto un adeguamento automatico che tenendo conto dell’inflazione accertata ogni anno va ad aumentare l’importo dell’assegno.
Tuttavia, negli anni i governi hanno avuto un rapporto un po’ “controverso” con la rivalutazione delle pensioni. Ogni anno, infatti, questi sono obbligati a stanziare le risorse necessarie per permettere una tale operazione, il che - specialmente nei periodi in cui i fondi per la legge di Bilancio sono limitati - ha ridotto le possibilità di intervenire in altri ambiti.
Ecco perché ci sono state situazioni, in particolare durante le crisi economiche che si sono susseguite in questi anni o comunque quando c’era necessità di maggiori risorse per attuare le misure del programma di governo, in cui la rivalutazione è stata rivista o persino bloccata. Tanto che più volte è dovuta intervenire la Corte Costituzionale a garanzia del diritto dei pensionati a non vedere svalutato il proprio assegno.
L’ultimo “taglio” alla rivalutazione c’è stato nel 2023 ed è poi proseguito nel 2024: anche in questo caso ci sono state ragioni economiche a giustificare la decisione presa dal governo Meloni. Tuttavia adesso la situazione sembra essere risolta e per questo motivo l’aumento delle pensioni nel 2025 dovrebbe tornare a seguire le regole originarie di rivalutazione, con le quali spettano più soldi rispetto a quanto diversamente verrebbe riconosciuto dal “metodo Meloni”.
Come è stata tagliata la rivalutazione delle pensioni
Nella legge di Bilancio 2023 l’esborso dovuto per la rivalutazione delle pensioni era molto alto, causa anche un tasso di inflazione senza precedenti, pari all’8,1%.
Rivalutare gli assegni in base a quanto stabilito dalla legge n. 448 del 1998 avrebbe richiesto un esborso troppo elevato. Nel dettaglio, questo sistema stabilisce che:
- per la parte di pensione il cui importo non supera di 4 volte il trattamento minimo la rivalutazione è pari al 100% del tasso di inflazione accertato;
- per la parte compresa tra le 4 e le 5 volte, invece, è al 90% del tasso;
- infine, per la parte che supera le 5 volte, invece, è al 75% del tasso.
Viene quindi utilizzato un sistema simile a quello dell’Irpef, dove l’importo viene spacchettato in diverse fasce e per ognuna viene applicata la relativa percentuale di rivalutazione.
Un sistema particolarmente vantaggioso, specialmente nei periodi di elevata inflazione, per quanto alle pensioni superiori a 4 volte il trattamento minimo garantisca solamente un recupero parziale del potere d’acquisto.
Applicarlo con un’inflazione dell’8,1%, come pure del 5,4% come rilevata l’anno successivo, non era possibile se non rinunciando ad altri interventi. Ma serviva sostenere il potere d’acquisto anche delle famiglie, ad esempio attraverso misure come lo sgravio contributivo, come pure contrastare l’aumento dei prezzi dell’energia.
Per questo motivo venne introdotto un meccanismo che intanto stabilisce che il tasso di rivalutazione previsto per quella relativa fascia di reddito viene applicato sull’intero importo. E questo già è penalizzante. Vanno poi aggiunte delle percentuali più basse rispetto a quelle previste dalla suddetta legge.
Il risultato degli interventi applicati prima in legge di Bilancio 2023 e poi nel 2024 è dunque il seguente:
Fascia assegno | Indice di perequazione |
---|---|
Fino a quattro volte il trattamento minimo | 100% |
Oltre 4 e fino a 5 volte il trattamento minimo | 85% |
Oltre 5 e fino a 6 volte il trattamento minimo | 53% |
Oltre 6 e fino a 8 volte il trattamento minimo | 47% |
Oltre 8 e fino a 10 volte il trattamento minimo | 37% |
Oltre 10 volte il minimo | 22% |
E nel 2025?
La domanda da porsi è cosa succederà nel 2025, in quanto il governo Meloni dovrà decidere se ritornare al sistema tradizionale di rivalutazione oppure se prorogare i tagli attuati in questi due anni.
Di fatto, però, non sembrano esserci più ragioni per continuare con il meccanismo più severo. Specialmente perché il tasso di inflazione sarà molto più basso: come anticipato dovrebbe essere dell’1,6%, secondo quanto stimato dall’ultimo Documento di economia e finanza, rendendo così la rivalutazione molto più sostenibile.
Anche perché bisogna ricordare che, nelle volte in cui è stata interpellata, la Corte Costituzionale ha specificato che i tagli della rivalutazione non possono essere reiterati senza motivo. Ragion per cui tutto sembra far pensare a un ripristino delle vecchie (o nuove, a seconda del punto di vista da cui le si guarda) regole di rivalutazione.
Il che rappresenterebbe un notevole vantaggio per i pensionati, in quanto - come abbiamo avuto già modo di spiegare - in questo modo spetterebbero più soldi rispetto a quelli previsti da una rivalutazione “tagliata”, per quanto comunque molto meno rispetto a quanto liquidato in questi ultimi due anni.
Per approfondire le cifre potete cliccare qui e consultare il nostro articolo di approfondimento.
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