In quali casi si ricorre al lavoro intermittente e cosa cambia rispetto agli altri contratti di lavoro subordinato? Ecco come funziona il contratto a chiamata.
Nell’ordinamento italiano la forma comune di rapporto di lavoro è rappresentata dal contratto a tempo indeterminato, che garantisce stabilità e tutela nel lungo periodo. Tuttavia l’evoluzione del mercato e la necessità di maggiore flessibilità in alcuni settori hanno portato all’introduzione di modelli contrattuali alternativi, pensati per esigenze occasionali o stagionali, soprattutto in aziende caratterizzate da picchi di lavoro variabili o stagionali.
Tra questi il lavoro intermittente, noto anche come contratto a chiamata o job on call, rappresenta una delle soluzioni più diffuse. Ma di cosa si tratta, come funziona e cosa prevede la normativa vigente? Entriamo nei dettagli e vediamo tutto quello che c’è da sapere in merito, inclusi obblighi, diritti e tutele dei lavoratori coinvolti.
Cos’è il contratto a chiamata e come funziona
Il lavoro intermittente è una forma di lavoro subordinato, anche a tempo determinato, che permette al datore di impiegare un lavoratore solo quando se ne presenta la necessità. In pratica il dipendente resta a disposizione dell’azienda e viene chiamato per svolgere determinate prestazioni, ricevendo un compenso per i periodi effettivamente lavorati.
Esistono due versioni principali del contratto: una con obbligo di disponibilità, in cui il lavoratore è tenuto a rispondere alla chiamata e riceve un’indennità fissa anche quando non lavora, e una senza obbligo di disponibilità, che prevede la retribuzione solo per le giornate di lavoro effettivo.
Questa tipologia contrattuale è regolata principalmente dal Decreto Legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, articoli 13–18 (disciplina del lavoro intermittente), che ne definisce le condizioni di utilizzo e i limiti, con l’obiettivo di evitare abusi e garantire tutele minime a chi vi aderisce.
Quando si può utilizzare il lavoro intermittente
Il ricorso a questa forma contrattuale è consentito sostanzialmente in due situazioni.
La prima riguarda le attività di natura discontinua o saltuaria, individuate dai contratti collettivi nazionali o, in mancanza, dal decreto ministeriale del 23 ottobre 2004, che elenca i lavori considerati “di attesa o custodia”, come portinai, guardiani, addetti alla manutenzione stradale o personale di servizio.
A tal proposito è bene sottolineare che con la Legge numero 56 del 7 aprile 2025 è stata abrogata la tabella contenuta nel Regio Decreto n. 2657/1923, precedente riferimento per le attività discontinue. Tuttavia, secondo la nota INL n. 1180/2025, ciò non incide sulla validità del contratto intermittente, poiché la tabella continua ad avere funzione interpretativa fino all’adozione del nuovo decreto ministeriale.
La seconda riguarda le condizioni soggettive del lavoratore. Possono essere assunti con contratto intermittente i giovani con meno di ventiquattro anni, purché le prestazioni si concludano entro il compimento del venticinquesimo anno, e i lavoratori con più di cinquantacinque anni, anche se già pensionati.
Limiti e vincoli previsti dalla normativa
Il legislatore ha fissato un limite preciso, ovvero lo stesso lavoratore non può superare le 400 giornate di lavoro effettivo in tre anni solari con il medesimo datore. Oltre questa soglia, il rapporto si trasforma automaticamente in un contratto a tempo pieno e indeterminato. Fanno eccezione i settori del turismo, dello spettacolo e dei pubblici esercizi, dove la stagionalità giustifica un uso più esteso del contratto a chiamata.
Sono inoltre previsti alcuni divieti assoluti. Entrando nei dettagli, come si evince dall’articolo 14, sempre del Decreto Legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, l’azienda non può ricorrere al lavoro intermittente
"a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi a norma degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente, ovvero presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
c) ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori".
Adempimenti e comunicazioni obbligatorie
Il contratto a chiamata deve essere stipulato in forma scritta e contenere tutti gli elementi essenziali, quali durata, modalità di chiamata, tempi di preavviso (che non possono essere inferiori a un giorno lavorativo), eventuale indennità di disponibilità e trattamento economico spettante.
Il datore di lavoro è tenuto a inviare la comunicazione di assunzione attraverso il modello telematico Unilav entro le ore 24 del giorno precedente l’inizio dell’attività. In aggiunta, prima di ogni prestazione o ciclo di prestazioni, deve notificare l’attivazione del lavoratore all’Ispettorato territoriale del lavoro tramite il modello UNI-intermittente, disponibile anche online o tramite app.
Retribuzione, contributi e tutele
Dal punto di vista economico e normativo, il lavoratore intermittente ha diritto allo stesso trattamento dei colleghi di pari livello impiegati con contratti tradizionali, ma proporzionato alle ore effettivamente lavorate. Ciò significa che maturano ferie, mensilità aggiuntive, permessi, indennità e contributi previdenziali in misura proporzionale alla prestazione resa.
In caso di obbligo di disponibilità, il dipendente percepisce anche un’indennità economica fissa stabilita dalla contrattazione collettiva, che deve essere corrisposta anche nei periodi in cui non lavora.
Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può comportare sanzioni, inclusa la perdita dell’indennità o, nei casi più gravi, la risoluzione del rapporto.
Differenze tra lavoro intermittente e part-time
Sebbene entrambe le formule consentano di ridurre l’impegno orario, il contratto a chiamata si distingue nettamente dal part-time. Nel part-time, infatti, le ore e i turni sono concordati e programmati in anticipo, mentre nel lavoro intermittente le prestazioni sono occasionali e dipendono esclusivamente dalla chiamata del datore.
Inoltre, il part-time garantisce una continuità di reddito, mentre nel job on call la retribuzione è legata solo ai giorni effettivamente lavorati o, se previsto, all’indennità di disponibilità.
Un equilibrio tra flessibilità e tutela
Ancora oggi il contratto a chiamata continua a rappresentare una soluzione utile per settori dove il lavoro segue ritmi variabili o stagionali. È uno strumento che consente alle aziende di gestire meglio i picchi di attività e, al tempo stesso, permette ai lavoratori di accedere a opportunità flessibili, mantenendo un inquadramento subordinato e contributi regolari.
Tuttavia è fondamentale che venga applicato con equilibrio e nel rispetto delle regole, per evitare un uso improprio che possa trasformare la flessibilità in precarietà. Il lavoro intermittente, se correttamente gestito, può infatti essere una forma di impiego legittima e vantaggiosa, capace di coniugare le esigenze produttive delle imprese con la tutela dei diritti dei lavoratori.
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