La minaccia dell’Arabia Saudita fa correre il petrolio: cosa può accadere?

Violetta Silvestri

24 Maggio 2023 - 10:13

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L’Arabia Saudita alza i toni e il prezzo del petrolio avanza: cosa è successo e quali nuove variabili sono in campo nel settore petrolifero, con il greggio che oscilla nell’incertezza generale.

La minaccia dell’Arabia Saudita fa correre il petrolio: cosa può accadere?

Il prezzo del petrolio sale per la terza sessione e la spinta maggiore arriva da un avvertimento a tutto il comparto dalla potente Arabia Saudita, che ha messo in guardia i venditori allo scoperto, suggerendo che l’OPEC+ potrebbe ridurre ancora la produzione e far balzare le quotazioni.

Nel dettaglio, i futures sul greggio WTI viaggiano sui 73,65 dollari al barile verso le 9.40 italiane, con un aumento dell’1% e il Brent scambia a 77,44 dollari al barile, registrando un +0,79%.

Entrambe le quotazioni stanno mostrando un netto balzo in avanti rispetto alla giornata di ieri, con i timori di una compressione dell’offerta che sono aumentati in seguito alle dichiarazioni del ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita e ai dati sulle scorte di petrolio greggio e carburante statunitensi: cosa si prevede per il settore oil?

Sul prezzo del petrolio pesano diversi fattori: dai timori della recessione e crisi Usa fino al ruolo dell’OPEC, desiderosa di mantenere le quotazioni su un certo livello. Cosa succede e perché il prezzo del greggio sta salendo?

L’Arabia Saudita dà la spinta al prezzo del petrolio

Il ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita ha detto che avrebbe lasciato i venditori allo scoperto - quelli che scommettono che i prezzi scenderanno - “a bocca aperta”, avvisandoli di “stare attenti”.

La dichiarazione è suonata come una minaccia su prezzi che saliranno ancora. Alcuni investitori lo hanno preso come un segnale che l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio e alleati tra cui la Russia, nota anche come OPEC+, potrebbero prendere in considerazione ulteriori tagli alla produzione in una riunione del 4 giugno.

L’analista di CMC Markets Tina Teng ha dichiarato che i prezzi del petrolio sono aumentati proprio sulla base della speculazione secondo cui l’OPEC+ potrebbe ridurre ulteriormente la produzione per mantenere la stabilità dei prezzi.

Da evidenziare, però, che il balzo dell’oro nero è stato causato anche dai dati secondo i quali le scorte di petrolio greggio e carburante statunitensi sono diminuite drasticamente. Se confermato dalle cifre del governo, sarebbe il calo più grande dalla fine di marzo.

Le scorte di greggio sono calate di circa 6,8 milioni di barili nella settimana terminata il 19 maggio, secondo fonti di mercato che citano i dati dell’American Petroleum Institute (API). Le scorte di benzina sono scese di circa 6,4 milioni, mentre quelle di distillati sono diminuite di circa 1,8 milioni.

Tutto questo ha compensato la mancanza di progressi nel risolvere l’impasse sul tetto del debito statunitense, che ha pesato sui mercati finanziari più ampi. Il portavoce Kevin McCarthy ha dichiarato martedì che le due parti non hanno ancora raggiunto un accordo per evitare quello che sarebbe il primo default della storia Usa. Con un’insolvenza dichiarata, ci sarebbero gravi ripercussioni anche sul petrolio, con una crisi della potenza statunitense in grado di bloccare la domanda di greggio.

Il prezzo del petrolio, comunque, è ancora in ribasso per l’anno poiché la fiacca ripresa economica della Cina, gli aumenti dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve e, più recentemente, la mancanza di un accordo sul tetto del debito pesano sulle prospettive future. Anche i flussi russi sono rimasti robusti, nonostante le sanzioni.

La volatilità sembra dominare il settore oil, con una carenza di offerta all’orizzonte che si scontra con stime di domanda molto incerte.

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