La guerra in Israele ha messo nei guai Fed e Bce. Ora tutto può succedere

Violetta Silvestri

21 Ottobre 2023 - 10:26

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La guerra in Medio Oriente ha colto di sorpresa le banche centrali. Ora, Fed e Bce sono nei guai e le loro politiche monetarie potrebbero fallire con nuove turbolenze in arrivo. Tutto può succedere.

La guerra in Israele ha messo nei guai Fed e Bce. Ora tutto può succedere

La guerra Israele-Hamas è l’imprevisto che può davvero mettere nei guai le banche centrali, in primis Fed e Bce.

Dopo aver cercato per mesi di recuperare terreno sull’inflazione, i banchieri centrali cominciavano a credere di aver finalmente fissato i tassi di interesse al livello giusto per tenere sotto controllo i prezzi senza soffocare completamente l’economia.

La complessa situazione del Medio Oriente sta invece introducendo una nuova serie di rischi reali. Lo ha detto chiaramente Powell nel suo più recente intervento: l’escalation delle tensioni geopolitiche rappresenta una minaccia per il sistema finanziario globale in un contesto di maggiori rischi di una maggiore inflazione e di una crescita più lenta.

Con i prezzi di gas e petrolio già in movimento, con nuove impennate, l’inflazione può surriscaldarsi come non era previsto. Costringendo, così, Fed e Bce ad altri aumenti dei tassi e rendendo più probabile una recessione.

La guerra in Medio Oriente può mettere davvero nei guai Bce e Fed e far fallire tutte le loro politiche.

Tutti i guai per Fed e Bce con la guerra in Israele

La riunione Bce del 26 ottobre e quella Fed del 1 novembre sono attese come non accadeva da tempo. Una pausa nel rialzo dei tassi è prevista dalla maggior parte degli analisti, ma la guerra in Israele dagli esiti così imprevedibili e drammatici può davvero sconvolgere ogni piano.

Tutto può succedere nelle prossime riunioni. Le banche centrali Usa e dell’Eurozona vedono la possibilità di domare l’inflazione senza innescare una vera e propria recessione mantenendo i tassi ai livelli attuali per mesi: una mossa “alti più a lungo” che ora convince i mercati a rimandare le scommesse sui primi tagli dei tassi a metà del 2024 e oltre.

Questo calcolo, finora, non è stato scosso dall’aumento del 10% dei futures petroliferi a circa 94 dollari dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele – un guadagno che aggiunge un decimo di punto percentuale alla misura “principale” dell’inflazione sottostante, quella osservata proprio dalle banche centrali.

Nel peggiore degli scenari, il prezzo del petrolio può addirittura arrivare a 150 dollari al barile: “Bisogna formulare una sorta di valutazione di...un prezzo del petrolio a 150 dollari al barile”, ha detto il capo economista della Banca d’Inghilterra Huw Pill durante un evento questa settimana.

Questo potrebbe accadere nel caso in cui l’Iran, alleato di Hamas, reagisse interrompendo i flussi di energia provenienti dai vicini dell’OPEC attraverso lo Stretto di Hormuz.

L’Europa è esposta perché, a differenza degli Stati Uniti, non ha una sostanziale produzione interna di petrolio. Anche l’aumento dei prezzi del gas alimenterebbe l’inflazione, anche se, almeno per ora, il Paese ha molto gas in deposito.

Yannis Stournaras, governatore della banca centrale greca, ha sostenuto che l’Europa è riuscita sostanzialmente ad assorbire gli effetti dell’aumento dei costi energetici innescati dalla guerra in Ucraina e spera che possa fare lo stesso se si verificassero ulteriori shock.

“Dipenderà dalla durata, dipenderà se sarà esteso o sarà locale”, ha detto a Reuters, aggiungendo che di norma i conflitti aumentano l’inflazione indebolendo l’attività economica complessiva.

Ulteriori incognite riguardano il modo in cui l’incertezza influisce sul morale dei consumatori e degli investitori e quali effetti può innescare sulla mentalità delle aziende e dei lavoratori nella futura fissazione dei salari.

Tutti fattori ben osservati da Bce e Fed. In caso di peggioramento del sentiment, la politica monetaria finora portata avanti potrebbe subire scosse e mostrarsi, ancora, inefficiente. Lagarde e Powell potrebbero ritrovarsi nella scomoda posizione di dover ancora aumentare i tassi, forse nella riunione di fine anno. A questo punto, tutti i dubbi sulla crescita potrebbero tradursi in una recessione.

Il rischio geopolitico spaventa le banche centrali

La geopolitica è ormai lo spettro che impaurisce mercati, investitori, banchieri centrali. In un mondo in movimento, tra guerre, conflitti, tensioni commerciali, riassetto delle relazioni di partnership, la rivalità tra potenze sta crescendo in ogni ambito. E il pericolo è che un equilibrio e una spinta alla cooperazione non ci saranno più.

Nel suo ultimo rapporto semestrale sulla stabilità finanziaria, la banca centrale americana ha segnalato il rischio di “ampie ricadute negative sui mercati globali” nel caso in cui il conflitto in Medio Oriente e la guerra in Ucraina si intensificassero o emergessero tensioni altrove.

“L’escalation di questi conflitti o un peggioramento di altre tensioni geopolitiche potrebbe ridurre l’attività economica e aumentare l’inflazione in tutto il mondo, in particolare in caso di interruzioni prolungate delle catene di approvvigionamento e interruzioni della produzione. Il sistema finanziario globale potrebbe essere influenzato da un ritiro dall’assunzione di rischi, da cali dei prezzi degli asset e da perdite per le imprese e gli investitori esposti, compresi quelli negli Stati Uniti”, si legge nel rapporto.

Le previsioni sono cupe. La velocità e l’entità del recente aumento dei tassi di interesse hanno alimentato i timori di una possibile instabilità finanziaria, con un alto funzionario del Fondo monetario internazionale che ha recentemente dichiarato al Financial Times che ora c’è un “aumento del rischio” di qualche tipo di ricaduta.

Nel caso in cui l’inflazione dovesse persistere inaspettatamente, spingendo le banche centrali a dover alzare ulteriormente i tassi, la Fed ha messo in guardia non solo da una maggiore volatilità del mercato ma anche da un “significativo rallentamento economico” man mano che il credito si prosciuga e le famiglie e le imprese vulnerabili sono costrette a ridimensionare le loro spese.

La scorsa settimana Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan Chase, ha avvertito che il momento attuale potrebbe essere “il momento più pericoloso che il mondo abbia visto negli ultimi decenni”

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