L’euro fu la grande sfida all’egemonia USA, ma l’ordoliberismo della Germania l’ha fatto fallire

Guido Salerno Aletta

10 Dicembre 2025 - 12:24

Dalla sfida al dollaro alla crisi dell’Eurozona: come le tensioni tra Stati Uniti ed Europa hanno segnato la storia monetaria contemporanea fino all’epilogo dei giorni nostri.

L’euro fu la grande sfida all’egemonia USA, ma l’ordoliberismo della Germania l’ha fatto fallire

Non è vero affatto che i rapporti tra l’Europa e gli Stati Uniti siano stati sempre tutte rose e fiori: anzi, è vero tutto il contrario.

Il Serpente monetario europeo prima, il Sistema monetario europeo (SME) poi, ed infine l’Euro che ha rappresentato il coronamento della integrazione nell’ambito dell’area economica e monetaria (AEM) dell’Unione europea, sono state fasi e realizzazioni di un confronto durissimo tra le due sponde dell’Atlantico, in cui si cercava di sottrarsi al dominio del Dollaro, a quello che il grande leader politico francese Giscard d’Estaing aveva definito il “privilegio esorbitante”: l’America stampa ne puo’ stampare quanti ne vuole, ed il mondo li acquista senza fiatare.

Gli snodi delle relazioni economiche e valutarie tra gli Usa ed il resto del mondo occidentale sono stati tutti fortemente conflittuali: la dichiarazione nel ’71 della non convertibilità internazionale del dollaro in oro, che risale alla Presidenza di Richard Nixon; il Plaza Accord nel 1985 che risale alla Presidenza di Ronald Reagan con cui si decise di svalutare il dollaro vendendo quote rilevanti delle riserva delle Banche centrali dei Paesi del G5 e corrispondentemente di rivalutare le rispettive monete per ridurre le esportazioni verso gli Usa; l’attacco speculativo del ’92 portato simultaneamente alla Lira italiana, al Franco francese ed alla Lira sterlina, in coincidenza con il processo politico che stava portando alla Costituzione europea ed alla creazione della Moneta unica europea, l’Euro, che era stata decisa nel ’90 a Roma.

Per gli Usa, nel ’92, la prospettiva dell’Euro andava allontanata quanto più possibile: già la Riunificazione tedesca era un boccone assai indigesto. La svalutazione della Lira italiana e di quella inglese, con l’uscita dallo SME di Italia e Gran Bretagna mentre la sola Francia veniva salvata dalla Bundesbank, allontanava di un decennio la prospettiva della Moneta unica europea, l’Euro.

D’altra parte, l’Euro non rappresentava solo una sfida fondamentale nei confronti dllo strapotere del Dollaro, ma era stato anche un strumento di scambio politico-strategico tra Francia e Germania: Parigi aveva accettato di dare il proprio assenso alla Riunificazione tedesca ma solo a condizione che contemporaneamente Berlino rinunciasse al Marco. La moneta tedesca aveva infatti condizionato con la sua forza straordinaria le relazioni economiche e valutarie tra i diversi Paesi europei.
E’ stata questa la duplice sfida, simultaneamente nei confronti del Dollaro e Marco, e dunque sia nei confronti degli Usa che della Germania, a caratterizzare la nascita dell’Euro.

Ma la sfida è stata persa senza rimedio, irrimediabilmente, sia nei confronti del Dollaro sia sul piano delle relazioni interne all’Eurozona, perché l’Euro è stato soprattutto lo strumento con cui la Germania è riuscita ad imporre al resto del Continente, sin dal Trattato di Maastricht e poi con la effettiva introduzione della Moneta unica, la sua visone ordoliberista dei rapporti economici: un approccio mercantilista di crescita economica, bastata sulle esportazioni; l’astensione da parte della BCE e delle Banche Centrali nazionali di qualsiasi intervento a favore degli Stati, lasciando quindi che i tassi di interesse sui singoli debiti pubblici e conseguentemente quelli correnti praticati nei diversi Stati variassero sulla base delle sole istanze dei Mercati; libertà assoluta nella circolazione internazionale dei capitali.

L’Euro ha avuto dunque una duplice natura e funzione: sul piano internazionale, al di fuori dell’Eurozona, diventava una valuta “aurea” di riserva e di transazione in concorrenza rispetto al dollaro; sul piano interno all’Eurozona impediva gli aggiustamenti valutari e rappresentava uno strumento funzionale all’allineamento dei prezzi delle merci e dei servizi al livello più alto e quello dei salari al livello più basso, mentre i tassi di interesse sui debiti pubblici e privati, compresi quelli interbancari, rappresentavano il gradiente non solo dei rischi ma anche dei vantaggi percepiti dai Mercati.

Il paradosso è stato quello di realizzare un’area valutaria unica, con la libertà di movimento garantita per le persone, le merci ed i capitali, e con prezzi e salari tendenzialmente allineati, ma con tassi di interesse divergenti: questo ha portato i capitali a concentrarsi nelle aree e nelle attività a più elevato rendimento e rischio. Venuto meno il sistema di allarme delle valute nazionali, si sono ingigantiti gli impieghi esteri là dove gli interessi erano più elevati: in Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna.
La Bce ha chiuso gli occhi di fronte alla crescita parossistica degli indebitamenti bancari transfrontalieri, mentre la divergenza tra i tassi di interesse sui titoli di Stato alimentava questa straordinaria interdipendenza tra Paesi creditori e Paesi creditori, fino all’inevitabile collasso del 2010-2012.

Non è un caso che tutto avvenga solo dopo la Grande Crisi Finanziaria Americana del 2008, come era stato per regolare fatto nel ’71-’73, poi nell’85 ed ancora nel ’92 rl La “scoperta” solo nel 2010 del debito pubblico della Grecia che non era stato regolarmente iscritto a bilancio desta sospetto, cosí come fu assolutamente inconsueto il consenso dei più famosi economisti americani che suggerirono al governo di Atene di “prendersi una vacanza dall’euro”, per tornare alla Nuova Dracma: dopo aver svalutato i debiti pubblici e privati contratti in euro nei confronti degli investitori stranieri, si poteva poi con tranquillità rimettere ordine all’economia. Infine, rientrare nell’Euro con i conti a posto.
Far uscire la Grecia dall’Euro era un modo per disintegrare l’intera Eurozona: immediatamente dopo sarebbe stata la volta dell’Italia, oberata da un debito pubblico che peraltro era riuscita a ridurre negli anni passando dal 123% al 100% del pil, ma che nessuno poteva “salvare”, neppure il Fmi. Germania e Francia fecero blocco: la Troika formata da Commissione, BCE e Fmi mise sotto torchio i Paesi in difficoltà ed il Fiscal Compact condannó il Continente ad una bassa crescita strutturale.

Il famoso “Whatever it takes” pronunciato dal Governatore Mario Draghi a Londra, annunciando che avrebbe fatto di tutto per evitare il collasso della Moneta Unica europea furono l’epitaffio sulla tomba dell’Euro: nessuno si sarebbe più fidato.
I capitali europei hanno ripreso a volare Oltreoceano, i crediti sono sempre più denominati in dollari, creando rischi enormi in termini di valore reale e di fabbisogno di liquidità per saldarli: la sfida dell’Euro è fallita, per sempre.

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