Gli italiani (specialmente se dipendenti pubblici) vanno in pensione prima: lo dicono i dati INPS

Simone Micocci

31 Maggio 2018 - 09:26

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L’età pensionabile in Italia è tra le più alte d’Europa? Sì, ma in realtà gli italiani vanno in pensione con largo anticipo. Ecco i dati - relativi ai dipendenti pubblici - che lo dimostrano.

Gli italiani (specialmente se dipendenti pubblici) vanno in pensione prima: lo dicono i dati INPS

Come noto l’Italia è uno dei Paesi europei dove i requisiti per l’accesso alla pensione sono più elevati; stando a quanto previsto dalla normativa, infatti, un lavoratore italiano deve aspettare più anni rispetto ai colleghi europei per smettere di lavorare e percepire un assegno previdenziale.

66 anni e 7 mesi d’età e 20 anni di contributi sono necessari per smettere di lavorare con la pensione di vecchiaia e dal prossimo anno questa età anagrafica aumenterà a 67 anni. Quindi più si andrà avanti e maggiore sarà il rischio che gli italiani siano più penalizzati rispetto ai colleghi europei.

Ma è veramente così? In realtà pare che i lavoratori italiani non si facciano scoraggiare dai requisiti richiesti per la pensione di vecchiaia e che - in un modo o nell’altro - riescano a smettere di lavorare prima del dovuto.

Ad esempio questo è possibile per tutti quegli enti - soprattutto nel settore privato - che disponendo di fondi interni di solidarietà permettono ai loro dipendenti di andare in pensione in anticipo rispetto a quanto previsto dalla tanto dibattuta Legge Fornero.

Secondo i recenti dati OCSE, infatti, l’Italia è il Paese dove c’è la maggior differenza tra l’età per la pensione prevista dalla normativa e quella effettiva. Infatti, nonostante l’età di uscita per la vecchiaia sia pari a 66,7 anni, i lavoratori italiani vanno in pensione circa 4 anni e 4 mesi prima del dovuto.

Quindi si smette di lavorare già prima del compimento dei 63 anni di età; un divario notevole se si pensa che la media europea della differenza tra età legale ed effettiva è di 0,8 anni per gli uomini e 0,2 anni per le donne.

Quanto dichiarato dall’OCSE è stato confermato dal recente osservatorio sulle pensioni della Gestione Dipendenti Pubblici appena pubblicato dall’INPS che fa riferimento ai trattamenti previdenziali vigenti al 1° gennaio 2018 e liquidate nel 2017.

Dipendenti pubblici in pensione in anticipo

Secondo quanto emerge dal report appena pubblicato dall’INPS, al 1° gennaio 2018 erano 2 milioni e 864mila le pensioni vigenti nella Gestione Dipendenti Pubblici, per un importo annuo di 69,3 miliardi di euro.

Inoltre nel 2017 ci sono state molte più pensioni liquidate rispetto all’anno precedente: le nuove pensioni, infatti, sono state 124.464, ben l’8,4% in più rispetto all’anno precedente.

Il problema è che tra i dipendenti pubblici solo una minoranza percepisce una pensione di vecchiaia; nel dettaglio, solo il 13,4% ha atteso il compimento degli anni richiesti dall’attuale normativa per andare in pensione.

La maggioranza - il 56,8% del totale dei trattamenti previdenziali vigenti - invece fa riferimento ad una pensione di anzianità o anticipata. La parte restante percepisce per il 7,9% una pensione di inabilità, per il 4,5% un trattamento al superstite da assicurato e il 17,3% al superstite da pensionato.

Quindi questi dati confermano che la maggior parte dei lavoratori italiani - questo caso i dipendenti pubblici - va in pensione non appena possibile utilizzando gli strumenti che gli consentono di smettere di lavorare in anticipo. E questo permette loro di andare in pensione con circa 5 anni - e a volte anche di più - di anticipo rispetto alle soglie imposte dalla Legge Fornero.

Andare in pensione in anticipo non comporta grosse penalizzazioni; basti pensare che nel 2017 l’importo medio degli assegni previdenziali liquidati nel 2017 è stato pari a 2.069€. Complessivamente, invece, per i 2.864.000 ex dipendenti pubblici l’importo medio della pensione è di 1.862€.

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