La legge prevede un indennizzo economico per le vittime di determinati reati violenti. Chi può ottenerlo, in quali casi e con quali modalità di domanda.
Quando il processo finisce, spesso inizia il problema: l’autore del reato è irreperibile, non possiede nulla, e la condanna al risarcimento resta una riga nel dispositivo. La vittima resta con fatture, terapie, giorni di lavoro persi. Nel 2023 gli omicidi registrati in Italia sono stati 334 (117 donne e 217 uomini), a ricordare la dimensione del fenomeno; e le rilevazioni ISTAT indicano 2,435 milioni di donne che, negli ultimi cinque anni, hanno subìto almeno una forma di violenza fisica o sessuale.
In questo vuoto interviene l’indennizzo statale per le vittime di reati intenzionali violenti: non un risarcimento integrale, ma un ristoro pubblico con importi fissati per legge e rimborsi di spese documentate, pensato proprio quando il responsabile è incapiente o ignoto. L’importo è fisso per legge, la domanda si presenta in Prefettura, e se i requisiti ci sono, arriva. Anche per fatti avvenuti tra il 2005 e il 2016, grazie a una finestra ancora aperta fino al 31 dicembre 2025.
Cos’è l’indennizzo per reati violenti e in cosa si differenzia dal risarcimento
“L’indennizzo per le vittime di reati intenzionali violenti è una somma di denaro erogata dallo Stato, a titolo forfettario o di rimborso spese, in favore della vittima o dei suoi familiari.”
Non si tratta di un “regalo” pubblico, ma di una misura di solidarietà prevista dalla l. n. 122 del 2016, attuativa della Direttiva 2004/80/CE, per garantire un sostegno economico anche quando il responsabile non possa o non voglia pagare.
La differenza rispetto al risarcimento del danno è di natura sostanziale.
“Il risarcimento mira a compensare integralmente i danni subiti, sia patrimoniali che non patrimoniali, e viene liquidato da un giudice sulla base delle prove fornite (artt. 1218 e 2043 c.c; art. 185 c.p.).”
Invece, l’indennizzo non è integrale, ma ha importi fissi. L’ottenimento dell’indennizzo dipende dal ricorrere dei presupposti di legge e non dalla prova di tutti i danni. Inoltre, l’indennizzo è a carico dello Stato, non dell’autore del reato. Infatti, lo Stato interviene anche quando il condannato è insolvente, irreperibile o addirittura ignoto.
Quali reati danno diritto all’indennizzo e chi può richiederlo
L’art. 11 della l. n. 122/2016 definisce il perimetro dei reati per i quali lo Stato riconosce un indennizzo alla vittima. Si tratta di reati dolosi commessi con violenza alla persona, escludendo le ipotesi minori, ma ampliando la tutela ad alcune fattispecie gravi o socialmente sensibili.
Rientrano tra i reati che danno diritto all’indennizzo:
- omicidio art. 575 c.p. e seguenti, compreso l’omicidio commesso in ambito domestico;
- violenza sessuale art. 609-bis c.p., con esclusione dell’ipotesi di “minore gravità” prevista dal terzo comma;
- lesioni personali gravissime (art. 583, co. 2, c.p.), come la perdita di un senso, di un arto, o una malattia insanabile;
- deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.);
- intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.) se commessi con violenza nei confronti della persona.
Sono inoltre ricompresi i reati in ambito domestico e in generale tutti i crimini contro l’integrità fisica che, pur non rientrando tra quelli tipizzati per importi fissi, danno comunque diritto al rimborso delle spese mediche o assistenziali sostenute fino ai massimali previsti dal D.M. 22 novembre 2019.
“Una donna vittima di violenza sessuale da parte del convivente non solo può chiedere il risarcimento, ma se il responsabile è incapiente – ha diritto all’indennizzo statale, con importo fisso di 25.000 euro più spese mediche documentate fino a 10.000 euro.”
Chi può richiederlo: ordine di priorità
Se la vittima è in vita, è lei stessa a presentare la domanda. Invece, in caso di decesso il diritto spetta, secondo l’ordine stabilito dall’art. 11, co 2 bis, l. n. 122/2016, innanzitutto al coniuge o alla parte di un unione civile, successivamente ai figli e, in loro assenza, ai genitori. Qualora non vi siano neppure genitori, subentrano i fratelli e le sorelle che, al momento del reato risultavano conviventi e a carico della vittima. Il coniuge è equiparato al convivente di fatto che abbia avuto figli con la vittima o che abbia convissuto stabilmente con essa per almeno tre anni prima dell’evento (art. 1, co. 36-37, l. n. 76/2016).
In caso di più aventi diritto, la somma è ripartita seguendo le quote indicate dal Codice Civile per la successione legittima.
Importi dell’indennizzo: quanto spetta e come si calcola
Gli importi dell’indennizzo statale per le vittime di reati intenzionali violenti sono fissati dal D.M. 22 novembre 2019 in attuazione dell’art. 11 l. n. 122/2016.
La logica è quella di prevedere cifre certe e predefinite garantendo una soglia minima di ristoro economico.
- lesioni personali gravissime art. 583, co. 2, c.p., deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.) e violenza sessuale (art. 609-bis c.p., esclusa l’ipotesi di “minore gravità”): € 25.000.
- omicidio: € 50.000.
- omicidio domestico (commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona legata da relazione affettiva con la vittima): € 60.000 ai figli della vittima, da ripartire secondo le regole del codice civile.
Oltre agli importi fissi, la legge prevede il rimborso delle spese mediche e assistenziali documentate: - fino a € 10.000 per i reati di omicidio, violenza sessuale, lesioni gravissime e deformazione del volto;
- fino a € 15.000 per gli altri reati dolosi contro la persona (anche se non rientrano tra quelli che danno diritto a un importo fisso).
Il rimborso si ottiene presentando fatture, ricevute o altra documentazione sanitaria valida. Non sono riconosciute spese prive di giustificativo fiscale.
Provvisionale immediata nei casi urgenti di reati domestici
L’art. 13 bis l. n. 122/2016, introdotto dalla l. n. 168/2023 prevede che, se la vittima di un reato commesso in ambito domestico si trova in stato di bisogno, può ottenere un’anticipazione dell’indennizzo (provvisionale) già dopo la sentenza penale di primo grado, senza attendere la definitività. Tale misura risponde all’esigenza di fornire un sostegno economico tempestivo in situazioni di particolare fragilità.
In quali casi l’indennizzo può essere negato o ridotto?
L’indennizzo statale per le vittime di reati intenzionali violenti non è sempre dovuto. L’art. 12, l. n. 122/2016 elenca una serie di condizioni ostative che, se presenti, impediscono l’erogazione del beneficio. In particolare, l’indennizzo non spetta se, al momento della domanda, ricorre una delle seguenti situazioni:
- concorso nel reato: la vittima ha partecipato, anche solo colposamente, alla commissione del reato o di un reato connesso (art. 12, co. 1, lett. b, l. n. 122/2016);
- condanna o procedimento per reati gravi: la vittima è stata condannata con sentenza definitiva, o è sottoposta a procedimento penale, per uno dei reati indicati nell’art. 407, co. 2, lett. a) c.p.p. (ad esempio, associazione mafiosa, terrorismo, traffico di stupefacenti) o per reati tributari rilevanti (evasione di imposte sui redditi e IVA);
- altri indennizzi di pari importo: la vittima ha già percepito, per lo stesso fatto e a titolo di indennizzo o provvidenza, somme da soggetti pubblici o privati di importo pari o superiore a quello previsto dalla legge. In tal caso, non viene corrisposto alcun ulteriore importo.
Eccezioni alla prova dell’azione esecutiva
In linea generale, per accedere all’indennizzo occorre provare di aver tentato un’azione esecutiva infruttuosa contro il reo.
Tuttavia, questa prova non è richiesta quando l’autore del reato è ignoto oppure se il reo è stato ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato nel processo penale o civile in cui è stata accertata la sua responsabilità. Tali eccezioni evitano di imporre alla vittima inutili procedure formali quando è evidente che non sarà possibile ottenere il pagamento dal colpevole.
Come richiedere l’indennizzo: procedura, documenti e scadenze
La domanda di indennizzo per le vittime di reati intenzionali violenti segue una procedura definita dagli artt. 8 e ss. del D.P.R. n. 60 del 2014. Può essere presentata dalla vittima oppure, in caso di decesso, dagli aventi diritto, alla Prefettura della provincia di residenza o a quella in cui ha sede l’autorità giudiziaria che ha emesso la sentenza o il provvedimento di riferimento. La trasmissione è possibile di persona, tramite raccomandata con avviso di ricevimento oppure mediante PEC.
Una volta ricevuta la domanda, la Prefettura ne verifica la completezza formale e trasmette il fascicolo all’Ufficio del Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e intenzionali violenti. Qui si procede a controllare che il reato denunciato rientri tra quelli indennizzabili, che non vi siano cause di esclusione e che l’azione esecutiva contro il responsabile sia stata tentata senza successo o che, nei casi previsti, non sia necessaria.
Se la domanda viene accolta, il pagamento dell’indennizzo è disposto direttamente sul conto corrente indicato dal richiedente.
Documenti richiesti
Ai sensi dell’art. 13 l. n. 122/2016 e dell’art. 9 del D.P.R. n. 60/2014, la domanda deve contenere:
- sentenza di condanna definitiva o altro provvedimento che definisce il giudizio per autore ignoto (es. decreto di archiviazione);
- prova dell’azione esecutiva infruttuosa (ad esempio, pignoramento senza esito), salvo nei casi in cui l’autore del reato sia ignoto o se il reo sia stato ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato;
- dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che attesti l’assenza delle condizioni ostative o la qualità di avente diritto, se si tratta di familiari;
- certificazione delle spese mediche sostenute oppure certificato di morte in caso di decesso della vittima.
Per quanto riguarda le scadenze, il termine ordinario per presentare domanda è 120 giorni dalla sentenza definitiva, dal provvedimento che definisce il giudizio per autore ignoto, oppure dall’ultimo atto dell’esecuzione infruttuosa (art. 16, l. n. 168/2023). Invece, per i reati commessi tra il 30 giugno 2005 e il 23 luglio 2016, o per lesioni gravissime e deformazioni permanenti al volto commesse in qualunque periodo, la domanda può essere presentata fino al 31 dicembre 2025, anche se il fatto è molto risalente.
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