Pubblicato il report relativo agli annunci sui licenziamenti. In evidenza i tagli che hanno colpito un settore specifico.
Numeri da incubo sono arrivati oggi dal mercato del lavoro USA.
Nel mese di ottobre, i licenziamenti annunciati negli Stati Uniti sono stati pari a 153.074 unità, segnando un balzo del 183% rispetto a settembre, e una impennata del 175% su base annua. Il livello è stato il più alto tra tutti i mesi di ottobre, a partire dall’anno 2003.
La cifra spaventosa è arrivata con la pubblicazione del report Challenger, Gray & Christmas. In evidenza soprattutto i licenziamenti annunciati dalle aziende attive nel settore tecnologico, pari a quasi sei volte il livello di settembre.
Boom licenziamenti in USA, al record dal 2003 nel mese di ottobre. L’impatto dei tagli hi-tech
“Come nel 2003, è la tecnologia dirompente che sta cambiando lo scenario ”, ha commentato Andy Challenger, esperto del mondo del lavoro e Chief Revenue Officer della società di ricollocamento professionale Challenger, Gray & Christmas, che ha pubblicato il dato.
A conferma di quanto il bagno di sangue abbia colpito soprattutto il settore hi-tech, i numeri nudi e crudi: nel settore tecnologico, alle prese con una fase di ristrutturazione dovuta all’impatto dell’intelligenza artificiale (AI), che rende alcuni posti di lavoro ormai superflui, gli annunci sono stati pari a 33.281 unità.
Va ricordato che i numeri mensili pubblicati con il report stilato dalla società Challenger tendono a essere molto volatili.
Allo stesso tempo, nella condizione di shutdown in cui si trovano gli Stati Uniti, l’accelerazione dei tagli nel mondo del lavoro per ora non si è ancora rispecchiata nel dato relativo alle richieste iniziali dei sussidi di disoccupazione, che continua a essere pubblicato nonostante il congelamento di molte attività del governo federale, che ha bloccato la comunicazione di altri indicatori macro. Non sono state inoltre preoccupanti, tutt’altro, anche le indicazioni sull’occupazione USA che sono arrivate di recente con il rapporto ADP, che ha segnalato la creazione nel settore privato di 42.000 nuovi posti di lavoro, dopo due mesi consecutivi di cali.
Detto questo, tornando al rapporto Challenger riferito all’intero anno 2025, le informazioni non sono affatto confortanti: complessivamente, quest’anno le aziende hanno annunciato negli Stati Uniti 1,1 milioni di tagli all’occupazione, in crescita del 65% su base annua, e al livello più alto dall’anno in cui è esplosa la pandemia Covid-19, ovvero dal 2020.
Proprio ottobre è stato il mese in cui gli annunci dei licenziamenti sono stati i più alti, considerando tutti i mesi del quarto trimestre dell’anno, dal 2008.
Così ha commentato ancora Andy Challenger:
“Alcuni settori stanno attraversando una fase di correzione dopo il boom delle assunzioni avvenuto durante la pandemia, in un contesto in cui l’adozione dell’AI, il rallentamento delle spese dei consumatori e degli investimenti da parte delle aziende, unito all’aumento dei costi, sta portando le aziende a ridurre le spese e a bloccare le assunzioni”.
Di conseguenza, “ chi viene licenziato in questo periodo trova più difficile ottenere rapidamente un nuovo impiego, il che potrebbe indebolire ulteriormente il mercato del lavoro”.
La notizia ha depresso immediatamente il sentiment a Wall Street, già alle prese con il dubbio sulla sostenibilità del rally delle azioni AI (di intelligenza artificiale) e con gli annunci di licenziamenti che di recente sono arrivati anche dalla grande Big Tech USA che fa parte delle azioni note come Magnifiche 7.
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Licenziamenti USA, nel 2025 al record dal 2009. La Fed di Powell salverà il mercato del lavoro USA?
Gli ultimi dati confermano che il 2025 è stato l’anno con il numero di licenziamenti più alto dal 2009. Tornano dunque gli interrogativi su cosa potrà fare la Fed di Jerome Powell per scongiurare il peggio così come sul rischio che l’erosione del mercato del lavoro degli Stati Uniti e, di conseguenza dell’economia, finisca per essere più drammatica rispetto a quanto temuto dalla stessa Federal Reserve.
Nell’ultima riunione dello scorso 29 ottobre 2025 la Fed ha annunciato come da attese di aver tagliato i tassi USA di 25 punti base, per la seconda volta consecutiva, portando così il loro valore a scendere dalla precedente forchetta compresa tra il 4% e il 4,25%, al nuovo range tra il 3,75% e il 4%.
L’istituzione ha decretato anche la fine del programma di Quantitative Tightening, piano diametralmente opposto a quello del QE-Quantitative easing, dando così un altro assist ai fondamentali USA.
Ma l’allentamento monetario sarà stato sufficiente a blindare l’economia americana?
I toni di Powell sono stati considerati piuttosti hawkish dagli economisti. Nel corso della conferenza stampa successiva all’annuncio dei tassi da parte della Fed, il banchiere centrale ha infatti detto, fin dall’inizio della conferenza stampa, che “un ulteriore taglio dei tassi a dicembre non è affatto scontato, tutt’altro ”.
Ma i numeri di oggi, nel far accapponare la palle a Wall Street, alimentano ulteriormente il timore che la Federal Reserve, più che il pedale stop, debba affrettarsi a premere quello dell’acceleratore, in questo ciclo dei tagli dei tassi che, secondo le colombe più convinte, è proseguito fin troppo a singhiozzo.
Basti pensare infatti che la Fed di Powell si è decisa a tagliare i tassi sui fed funds, per la prima volta nel 2025, soltanto a settembre, dopo averli lasciati fermi dal dicembre del 2024.
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