In questi 3 Paesi (in Europa) si rischia una crisi valutaria

Violetta Silvestri

21 Novembre 2022 - 15:41

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La crisi delle valute sta per esplodere in Europa? Al di fuori dell’euro, almeno 3 nazioni rischiano il crollo della moneta, aggiungendosi ad altri Paesi nel mondo che sono già sull’orlo del collasso.

In questi 3 Paesi (in Europa) si rischia una crisi valutaria

Crisi valutarie in arrivo nel 2023, anche in Europa?

A causa dell’aumento delle sfide fiscali e provenienti da fattori esterni, secondo gli esperti di Nomura Holdings nemmeno il vecchio continente sarà immune dal pericolo del crollo dei tassi di cambio. Considerando, infatti, i Paesi che non adottano l’euro, ce ne sono almeno 3 indicati a rischio.

Sarebbe un ulteriore fattore di instabilità finanziaria per l’anno prossimo, per il quale è già prevista una recessione.

Quali Stati, anche in Europa, rischiano il crollo delle valute? Un’analisi.

Crollo valute: c’è il rischio in 3 Stati europei

La Repubblica Ceca, la Romania e l’Ungheria affrontano il rischio di una crisi dei tassi di cambio nel prossimo anno: questo l’ultimo avvertimento di Nomura.

L’allarme si basa sull’analisi di otto indicatori, tra cui la copertura delle riserve valutarie per le importazioni, i tassi di interesse reali a breve termine, nonché le misure fiscali e di conto corrente, secondo l’indice Damocles di Nomura che ha valutato la vulnerabilità di 32 mercati emergenti a una crisi valutaria.

Inoltre, Egitto, Sri Lanka, Turchia e Pakistan non sono ancora fuori pericolo, hanno scritto gli analisti di Nomura Rob Subbaraman e Si Ying Toh in un rapporto.

Il fiorino ungherese è tra le valute dei mercati emergenti con le peggiori performance quest’anno dopo un blocco dei finanziamenti per la ripresa da parte dell’Unione Europea. Anche le valute della Romania e della Repubblica Ceca sono diminuite di oltre l’8% rispetto al dollaro.

La vulnerabilità delle valute dei mercati emergenti è ora al massimo da oltre due decenni e fornisce un “avvertimento minaccioso” di crescenti rischi su vasta scala, afferma il rapporto.

Da evidenziare, inoltre, che i mercati dei cambi hanno subito importanti scosse nel 2022 e in alcuni Paesi, una combinazione di pressioni geopolitiche e passi falsi delle banche centrali ha spinto le valute in una “spirale mortale”.

Un dollaro più forte nel corso dell’anno, con gli investitori che accorrevano verso la valuta rifugio tra il diluvio di shock geopolitici e macroeconomici, ha pesato su molte monete dei mercati emergenti.

I principali produttori di petrolio e i Paesi con banche centrali che hanno alzato decisamente i tassi di interesse stanno generalmente andando meglio, ma alcuni Stati hanno addirittura visto crollare il valore della valuta sul dollaro del 75%.

Le 3 peggiori valute del 2022

Steve Hanke, professore di economia applicata alla Johns Hopkins University, pubblica un elenco regolare delle valute con le peggiori performance dell’anno e il cedi del Ghana è terzo nella classifica per il 2022.

A riportarlo un’analisi di Cnbc di una settimana fa. Stando a questo rapporto, i problemi ghanesi includono l’aumento del costo della vita e un insostenibile onere del debito che hanno costretto il governo a rivolgersi al Fondo monetario internazionale per l’assistenza.

Il declino del cedi lo rende solo la terza valuta con le peggiori performance al mondo quest’anno.

Al secondo posto c’è il peso cubano, che è sceso del 56,36% rispetto al dollaro, dietro solo al dollaro dello Zimbabwe, che ha perso uno sbalorditivo 76,74% del suo valore rispetto al dollaro da gennaio. Sia lo Zimbabwe che Cuba soffrono di livelli di inflazione incredibili.

L’agenzia statistica nazionale ZimStat ha riferito che l’inflazione del Paese africano ha raggiunto il 268% annuo in ottobre, ma le stime di Hanke la collocano al 417%. Analogamente al Ghana, le autorità dello Zimbabwe hanno tentato di sostenere la valuta locale e combattere l’inflazione reprimendo i pagamenti in dollari dello Zimbabwe.

L’inflazione altissima è un problema centrale anche a Cuba, con il modello di Hanke che pone gli aumenti dei prezzi al consumo al 166% annuo.

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