In Italia si pagano sempre più tasse a dirlo è l’ISTAT e a spiegare il perché è l’Ufficio Parlamentare di Bilancio.
L’ISTAT conferma: in Italia si pagano sempre più tasse. La pressione fiscale sale al 42,5%.
La pressione fiscale continua ad aumentare e le conferme arrivano dall’ISTAT che calcola una pressione fiscale al 42,5%, ma perché si verifica ciò visto che si parla in modo costante di riduzione delle Tasse?
Dal 2024 c’è stata la riduzione delle aliquote Irpef, il taglio del cuneo fiscale è ormai consolidato, ma nonostante questo in Italia si pagano più tasse e non è solo una percezione, lo conferma l’ISTAT. Tra le cause una bassa crescita del Paese, l’inflazione e il fiscal drag, o drenaggio fiscale.
Ecco perché aumenta la pressione fiscale in Italia?
Pressione fiscale, cos’è e perché in Italia si pagano più tasse
La pressione fiscale rappresenta il rapporto tra le entrate fiscali e il PIL (Prodotto Interno Lordo) di fatto negli ultimi anni si registra un trend positivo per le entrate fiscali, cioè aumentano. L’effetto è dovuto ai controlli applicati, probabilmente in parte al concordato, alla riduzione dei bonus edilizi, ma soprattutto all’inflazione, all’aumento dei salari, insomma a una serie di fattori che hanno portato a un aumento delle entrate fiscali.
Questo aumento è però non in linea con l’aumento del PIL, cioè le entrate fiscali aumentano più di quanto aumenta il Prodotto Interno Lordo e più di quanto aumentano i salari, questa differenza genera una pressione fiscale in crescita e che si attesta al 42,5%. Tra il 2023 e il 2024 l’aumento della pressione fiscale è pari a un punto percentuale.
Ricordiamo che il PIL rappresenta semplicisticamente il livello di crescita economica di un Paese.
Gli italiani pagano più tasse, la causa è nel drenaggio fiscale
L’ISTAT nell’ultima “fotografia” del Paese resa nota, la più importante perché sarà la base per la scrittura della Legge di Bilancio 2026, sottolinea che sono cresciute soprattutto le entrate dovute alle imposte dirette, cioè che colpiscono direttamente la ricchezza, si tratta di Irpef, Ires, Irap, addizionali.
Come evidenziato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio anche a giugno, siamo in una situazione in cui il drenaggio fiscale è elevato.
Si parla di drenaggio fiscale quando a fronte di imposte con aliquote progressive, non adattate all’inflazione (è il caso dell’Irpef), c’è un aumento prelievo fiscale non giustificato dal reale aumento di redditi (ricchezza), Da questo fenomeno deriva un prelievo Irpef più alto, ma allo stesso tempo non c’è un reale aumento di ricchezza. Ad esempio, i salari sono cresciuti, ma sono cresciuti meno dell’inflazione, allo stesso tempo la medesima crescita ha portato all’applicazione di un’aliquota più alta, quindi l’imposta non è proporzionale. Si riceve uno stipendio più alto a cui non corrisponde un maggiore potere d’acquisto, ma corrispondono più tasse in misura più che proporzionale.
Rileva l’Ufficio Parlamentare di Bilancio che in una situazione di inflazione anche moderata, ma permanente, esempio la situazione attuale, il mancato adeguamento del sistema tributario allo scenario economico genera un effetto distorsivo, quindi il valore di reddito percepito aumenta, ma non quanto le tasse da versare (effetto della progressività Irpef) e di conseguenza la pressione fiscale aumenta.
Secondo l’UPB, non sono bastate le misure adottate (Irpef a 3 aliquote strutturale e taglio del cuneo fiscale) ad aumentare il potere di acquisto dei lavoratori. Soprattutto poco effetto avrebbe l’ulteriore taglio della seconda aliquota dal 35% al 33% e l’estensione a 60.000 euro.
Una proposta di indicizzazione delle aliquote in base all’inflazione arriva dal M5S che prevede un adeguamento automatico delle aliquote Irpef in caso di inflazione sopra una determinata soglia per un biennio. La misura mira a stabilizzare la pressione fiscale.
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