Il più grande produttore automobilistico europeo ha chiuso una sede per la prima volta in 88 anni. Crisi o strategia?

Giorgia Paccione

16 Dicembre 2025 - 11:51

Stop della produzione nello storico stabilimento tedesco di Dresda e spostamento degli investimenti per l’elettrico in Spagna. Ecco cosa c’è davvero dietro la scelta di Volkswagen.

Il più grande produttore automobilistico europeo ha chiuso una sede per la prima volta in 88 anni. Crisi o strategia?

Per la prima volta dalla sua fondazione, Volkswagen ha chiuso uno stabilimento in Germania. Da oggi, 16 dicembre le linee produttive della Gläserne Manufaktur di Dresda si sono fermate definitivamente, interrompendo l’assemblaggio di veicoli elettrici e aprendo una fase del tutto nuova per il gruppo di Wolfsburg.

La decisione arriva in un momento delicato per il primo costruttore automobilistico europeo, stretto tra il rallentamento delle vendite, una transizione elettrica più complessa del previsto e la necessità di rimettere sotto controllo costi e investimenti.

Ma la domanda che attraversa ora l’intero settore è se si tratti del segnale di una crisi profonda o piuttosto di una mossa strategica per ridisegnare la geografia industriale del gruppo.

La chiusura di Dresda, simbolo industriale e campus dell’innovazione

Inaugurata all’inizio degli anni Duemila su impulso di Ferdinand Piëch, la “fabbrica di vetro” di Dresda era nata come vetrina tecnologica e architettonica della Volkswagen. Qui venivano prodotti modelli di fascia alta come la Phaeton, prima che il sito diventasse uno dei simboli della svolta elettrica del gruppo con l’e-Golf e poi con la ID.3, auto-manifesto dell’elettrificazione. In oltre vent’anni di attività lo stabilimento ha però assemblato meno di 200.000 veicoli, numeri molto lontani da quelli dei grandi poli produttivi del Paese.

Il rallentamento della domanda di auto elettriche in Europa, unito alle dimensioni ridotte dell’impianto, ha reso sempre più difficile giustificarne la continuità industriale. Volkswagen ha infatti raggiunto un accordo con i sindacati per la gestione dell’impatto occupazionale: circa 250 dipendenti saranno ricollocati in altri siti del gruppo, con incentivi economici per chi accetterà il trasferimento. L’area non verrà abbandonata, ma sarà riconvertita in un centro di ricerca e sviluppo in collaborazione con l’Università Tecnica di Dresda, focalizzato su intelligenza artificiale, robotica e microelettronica, con investimenti complessivi per 50 milioni di euro in sette anni.

Conti sotto pressione e investimenti rivisti al ribasso

La chiusura di Dresda si inserisce in una revisione più ampia delle priorità industriali e finanziarie di Volkswagen. Il gruppo deve fare i conti con vendite deboli in Europa e in Cina, con l’impatto dei dazi statunitensi e con una transizione energetica che procede a ritmi meno lineari del previsto. Non a caso il piano di investimenti quinquennale è stato ridotto da 180 a 160 miliardi di euro, con l’obiettivo dichiarato di rafforzare il flusso di cassa nel breve periodo.

Parallelamente, il management ha avviato un ridimensionamento concordato della capacità produttiva in Germania, che potrebbe coinvolgere fino a 35.000 posti di lavoro nei prossimi anni. Una scelta definita “essenziale dal punto di vista economico”, anche perché il motore endotermico, destinato a restare sul mercato più a lungo, richiede nuovi investimenti proprio mentre continuano quelli sull’elettrico.

La Spagna nuovo baricentro dell’elettrico Volkswagen

Se in Germania si chiude un capitolo, a sud dei Pirenei se ne apre un altro. Volkswagen ha individuato nella Spagna il fulcro della prossima fase di crescita nel segmento delle piccole auto elettriche. Lo stabilimento Seat-Cupra di Martorell, vicino a Barcellona, è destinato a diventare l’hub per la produzione di nuove citycar a batteria, tra cui un modello compatto atteso come erede elettrico della Polo.

Qui il gruppo punta a combinare volumi più elevati, costi energetici e del lavoro inferiori rispetto alla Germania e una maggiore integrazione verticale, grazie anche a un nuovo edificio dedicato all’assemblaggio delle batterie. La chiusura di Dresda, letta in quest’ottica, appare quindi meno come una resa e più come il segno di una strategia che ridisegna la mappa dell’automotive europeo, spostando il baricentro produttivo verso aree ritenute più competitive per la mobilità elettrica di massa.

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