Il piano USA ridisegna energia e risorse di Kyiv tra fossili e minerali critici, mentre l’Europa rischia di perdere la partita più strategica del dopoguerra
Il piano di pace in 28 punti promosso dal team di Donald Trump si presenta come un compromesso realistico per fermare la guerra. In realtà, secondo analisti europei e internazionali, è una struttura economica pensata per ridefinire—e in parte reindirizzare—il futuro energetico e industriale dell’Ucraina. Un documento che, più che un percorso diplomatico, sembra una piattaforma per l’accesso privilegiato alle risorse del Paese e per l’integrazione di Kyiv in reti controllate dagli Stati Uniti.
Il piano insiste su una ricostruzione fondata sulle entrate generate da gas, petrolio e altri fossili, seguendo l’impostazione del quadro economico siglato mesi prima da Washington e Kyiv. La scelta appare controcorrente: già oggi oltre il 70% degli investimenti energetici globali è diretto verso le rinnovabili e, nell’UE, il consumo di gas è sceso di più del 15% negli ultimi due anni per effetto di efficienza e decarbonizzazione.
Nonostante questo trend, l’Ucraina viene spinta ad ampliare l’estrazione di idrocarburi per alimentare la ricostruzione. Una strategia che offre liquidità immediata, ma la espone a enormi rischi: volatilità dei prezzi, concorrenza dei mercati globali, normative europee sempre più stringenti e la concreta possibilità che parte dell’infrastruttura diventi “stranded asset” entro due decenni. [...]
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