Il CEO di Klarna usa l’AI per spiegare ai suoi ingegneri come fare coding

P. F.

25 Settembre 2025 - 09:54

Sebastian Siemiatkowski torna a far discutere con le sue dichiarazioni in merito all’intelligenza artificiale. Ora usa l’AI anche per dire ai suoi dipendenti come fare il proprio lavoro.

Il CEO di Klarna usa l’AI per spiegare ai suoi ingegneri come fare coding

Le dichiarazioni sull’intelligenza artificiale di Sebastian Siemiatkowski, CEO di Klarna, continuano a far discutere. L’imprenditore svedese era già finito al centro di un caso mediatico nel febbraio del 2024, quando aveva affermato che i suoi chatbot AI erano in grado di gestire il lavoro di 700 operatori addetti al servizio clienti.

Il colosso dei pagamenti “compra ora, paga dopo” aveva quindi scelto di cavalcare l’onda dell’automazione a discapito del capitale umano dell’azienda, una decisione che ha comportato la riduzione del personale del 22% e il blocco delle assunzioni per oltre un anno.

Le aspettative di Siemiatkowski, tuttavia, si sono ridimensionate in fretta. In seguito al crescente malcontento degli utenti di Klarna, insoddisfatti della qualità del servizio clienti, a maggio 2025 il CEO dell’azienda ha fatto dietrofront annunciando l’imminente assunzione di nuovi addetti - stavolta umani - al servizio clienti.

Eppure, nemmeno 4 mesi dopo, arriva l’ennesimo passo falso. Durante una puntata del podcast Sourcery, Siemiatkowski si è vantato della sua capacità di diventare un’aspirante sviluppatore in soli venti minuti grazie all’aiuto dell’AI. Chissà cosa ne pensano i suoi ingegneri informatici che, molto probabilmente, hanno studiato e lavorato per anni per apprendere al meglio il coding.

Le dichiarazioni del CEO di Klarna sul vibe coding

Secondo le affermazioni di Siemiatkowski, l’intelligenza artificiale gli avrebbe permesso di passare da “uomo di affari a sviluppatore dilettante” grazie al vibe coding, un metodo di sviluppo software basato sull’AI dove l’utente interagisce con i modelli linguistici tramite descrizioni in linguaggio naturale (prompt) anziché scrivere manualmente ogni riga di codice.

Il CEO ha affermato che il suo “hobby” sarebbe una grande fonte di risparmio per il suo staff:

Invece di disturbare i miei poveri ingegneri e addetti al prodotto con idee per metà buone e per metà cattive, ora le metto alla prova io stesso. Arrivo a dire: guardate, ho effettivamente fatto funzionare questa cosa, ecco come funziona, cosa ne pensate, potremmo farla in questo modo?

Non è chiaro, tuttavia, se i dipendenti di Klarna siano effettivamente contenti di questo nuovo passatempo. E non sono i soli. Secondo la testata web statunitense Business Insider, Siemiatkowski non sarebbe l’unico dirigente del settore tech ad aver mostrato interesse per il vibe coding. Lo scorso giugno, anche il CEO di Google Sundar Pichai ha raccontato di essere rimasto entusiasta da questa nuova tecnica di programmazione.

I limiti del vibe coding

I CEO si dichiarano elettrizzati per la novità. Lo sono molto meno, ad esempio, gli sviluppatori freelance. Sui forum online, alcuni di loro si definiscono già scherzosamente “specialisti nella pulizia del vibe coding”, una nuova professione che, paradossalmente, nasce da una tecnologia pensata per semplificare la vita agli sviluppatori.

Un’indagine di Fastly, azienda statunitense specializzata in Content Delivery Management, conferma il fenomeno: su 800 sviluppatori intervistati, il 95% ha dichiarato di aver speso più tempo a correggere il codice generato dall’AI piuttosto che per scriverne uno nuovo.

Ma i rischi non si limitano solo all’efficienza. Diversi ricercatori hanno individuato gravi falle di sicurezza negli output delle piattaforme di vibe coding. Secondo la testimonianza di un membro del team di Replit, una piattaforma online per scrivere, eseguire e condividere codici direttamente dal browser, sarebbero state scoperte oltre 100 app realizzate con Lovable - un servizio che consente di creare siti e app tramite prompt - che esponevano dati altamente sensibili alla mercé degli hacker.

Infine, alcuni esperti avvertono inoltre di un rischio ancora più grave e potenzialmente insanabile. Il timore è che, col passare del tempo, i programmatori potrebbero disabituarsi a leggere e comprendere i codici prodotti con l’AI, rendendo sempre più difficile l’identificazione di errori e vulnerabilità. La situazione è stata definita da Daniel Jackson, informatico del MIT, “un disastro imminente”. Le generazioni future rischiano infatti di ritrovarsi con una quantità crescente di codice corrotto e, soprattutto, senza sviluppatori in grado di sistemarlo.

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