Più di 300 mila giovani hanno una laurea inutile: troppo qualificati per il lavoro svolto

Simone Micocci

25/07/2019

25/07/2019 - 11:15

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Non sempre i laureati svolgono un lavoro affine alle proprie capacità e competenze: il 28% dei giovani, infatti, è troppo qualificato rispetto al proprio impiego lavorativo.

Più di 300 mila giovani hanno una laurea inutile: troppo qualificati per il lavoro svolto

Studiare non sempre paga” e “non per forza la laurea è sinonimo di lavoro ben retribuito”; sembra un elenco di luoghi comuni e invece è quanto emerge dall’analisi degli ultimi dati Istat, secondo cui molti italiani sono troppo qualificati per il lavoro che fanno.

In poche parole, ci sono degli italiani che hanno preso una laurea - investendo tempo e denaro - che poi si è rivelata inutile - o quasi - per il lavoro svolto, per il quale sarebbe stato sufficiente un diploma o persino una licenza media.

Questo dimostra la difficoltà per molti laureati italiani di trovare un lavoro in linea, sia per quanto riguarda le mansioni che per lo stipendio, con le competenze acquisite negli anni di studio.

Tant’è che viste le difficoltà nel trovare un impiego che soddisfi le proprie aspettative, in molti sono costretti a ripiegare su lavori meno qualificati, ricoprendo le stesse mansioni di coloro che una laurea - per scelta o per mancanza di opportunità - non l’hanno proprio presa.

D’altro lato preoccupa anche il dato degli undereducated, ossia di coloro che svolgono una mansione pur non avendone le competenze necessarie. Questo avviene soprattutto in quei settori dove c’è molta offerta di lavoro ma pochi candidati con le competenze adeguate per ricoprire determinate posizioni, con le aziende che spesso sono costrette ad “accontentarsi” di personale meno qualificato per poi formarlo sul campo.

Una situazione dovuta alla sovrabbondanza di alcuni corsi di laurea, dove il numero di coloro che completano il percorso di studi è superiore alle opportunità di lavoro nei settori previsti dagli sbocchi professionali. Al contrario, ci sono invece corsi di studio e specializzazioni che non attraggono molti studenti, rendendo così particolarmente difficile per le aziende individuare del personale qualificato per ricoprire le posizioni vacanti.

Molti italiani sono troppo qualificati per il lavoro svolto

Circa un italiano su quattro è troppo istruito per il lavoro svolto.

Nel dettaglio, tenendo in considerazione una platea di lavoratori di età compresa tra i 25 e i 34 anni, ne risulta che il 28% dei laureati (314.000 su 1.119.000 nel 2017) ricopre una posizione per la quale sono richieste competenze inferiori a quelle acquisite durante gli anni di studio.

Questa differenza tra competenze acquisite e competenze richieste dalla posizione lavorativa ricoperta si nota principalmente per le donne: il 30,5% delle lavoratrici, infatti, è iperqualificato, mentre per gli uomini la percentuale è del 20,1%.

È bene precisare poi che questa situazione vale anche per i diplomati: su un totale di 678mila giovani - di età compresa i 25 e i 34 anni - che hanno completato il secondo ciclo di studi, infatti, ce ne sono 123.000 (il 18,1%) overeducation.

A differenza di quanto succede per la laurea, però, in questo caso sono gli uomini ad esserne più interessati: il 28% dei lavoratori con diploma, infatti, è sovraistruito, mentre per le donne solo il 9% lo è.

Se invece si guarda alla generalità di lavoratori, e si analizzano i dati Ocse, ne risulta che l’11,7% ha competenze più elevate rispetto al lavoro svolto, mentre il 18% è sovra-qualificato.

La percentuale di coloro che sono troppo qualificati per il lavoro svolto, quindi, cala nel tempo, a dimostrazione che con il passare degli anni ci sono laureati e diplomati che riescono ad ottenere un posto di lavoro più affine alle proprie capacità.

Come se non bastasse, l’Italia è tra i Paesi dell’area Ocse ad avere la percentuale più alta - pari al 25% - di lavoratori occupati in settori non correlati ai propri studi. In molti quindi decidono di “reinventarsi” dopo il diploma o la laurea, scegliendo di lavorare in un settore diverso da quello in cui si sono specializzati durante il percorso di studi.

Ci sono anche lavoratori meno qualificati rispetto al lavoro svolto

Allo stesso tempo, però, ci sono anche molti undereducated, ossia lavoratori che ricoprono posizioni per le quali le aziende avrebbero preferito personale più qualificato.

Nel dettaglio, analizzando i dati Ocse, ne risulta che il 6% ha competenze inferiori a quelle richieste, mentre persino il 21% di loro è sotto qualificato.

Questa situazione, come anticipato, dipende anche dalla difficoltà delle aziende operative in alcuni settori di trovare personale altamente qualificato per il lavoro offerto.

Sono sempre di più, infatti, i lavori che gli italiani non sanno fare ma per i quali c’è molta offerta.

Competenze acquisite e lavoro svolto: perché ci sono queste differenze?

A spiegare il perché in Italia ci sono così tanti overeducated, ma anche undereducated, è Stefano Scarpetta - capo della direzione Lavoro dell’Ocse - il quale ha spiegato (al Sole 24 Ore) che molto dipende dalla struttura economica italiana dove:

“Accanto a imprese relativamente grandi, che competono con successo sul mercato globale e richiedono competenze di eccellenza, ve ne sono molte altre che operano con un management dotato di scarse competenze e lavoratori con livelli di produttività modesti. Insufficienti livelli di skill tra manager e lavoratori si combinano con bassi investimenti in nuove tecnologie che richiedono più elevato capitale umano, ma anche con un basso utilizzo di pratiche di lavoro innovanti ormai essenziali per stimolare la produttività”.

Inoltre, questo dipende anche dal fatto che nel nostro Paese il livello dei salari dipende non tanto dalle performance individuali quanto dall’età e dalla tipologia del contratto: una situazione che - secondo Scarpetta - “disincentiva un uso intensivo delle competenze sul posto di lavoro”.

Problemi che rendono il mercato del lavoro italiano meno produttivo di quanto dovrebbe.

Inoltre, vista questa situazione molti giovani potrebbero essere disincentivati dall’investire nella loro istruzione.

Lo scarso investimento in capitale umano, poi, frena gli investimenti da parte delle aziende con un ulteriore calo di posti di lavoro a più alta produttività e degli stipendi. Insomma, un “circolo vizioso” da cui se ne esce, secondo Scarpetta, solo con un “rinnovato sforzo per promuovere l’investimento, l’innovazione e un mercato del lavoro fluido e che offra adeguata protezione ai lavoratori”, oltre ad uno “sforzo massiccio nell’investimento in capitale umano”.

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