È il datore di lavoro o il dipendente a decidere sulle ferie? Ecco cosa prevede la normativa.
Ogni anno, in prossimità delle vacanze, si ripete il dubbio rispetto a chi debba decidere sui giorni di ferie, se il datore di lavoro o il dipendente.
D’altronde, non è raro che un lavoratore si veda respingere la propria richiesta di ferie, il che per quanto possa apparentemente sembrare una violazione dei propri diritti in realtà rappresenta un comportamento del tutto legittimo.
Nonostante un tale diritto sia tutelato dalla Costituzione, infatti, è il datore di lavoro a decidere sulle ferie al fine di tutelare le esigenze aziendali o di servizio. Ciò significa che può rifiutare una richiesta del dipendente, come pure fissare dei periodi di ferie collettive obbligando tutti i lavoratori a fare vacanza nello stesso periodo.
Ovviamente è allo stesso tempo obbligatorio che il lavoratore possa fruire dei giorni di ferie maturati entro i limiti di legge. Ciò significa che quando decide le ferie il datore di lavoro deve trovare una soluzione affinché almeno 2 settimane di ferie continuative possano essere godute nell’anno di maturazione, così da non rischiare una sanzione.
Ricapitolando, per quanto esistano delle possibilità per aumentare le possibilità che la richiesta di ferie venga accolta dal datore di lavoro, come ad esempio la richiesta in anticipo o l’organizzazione tra colleghi, non c’è una regola assoluta che agisce in tutela del lavoratore il quale rischia di dover ogni anno sottostare alla decisione dell’azienda.
Poco importa, quindi, se le ferie vengono programmate in alta stagione (terrore dei vacanzieri che vogliono spendere poco), oppure nelle mezze stagioni (primavera e autunno). E non c’è neppure una regola che tutela il lavoratore sposato riguardo alla possibilità che debba fare ferie in concomitanza con il coniuge.
Vediamo dunque quali sono le norme che regolano la decisione in merito alle ferie aziendali, soffermandoci su diritti e doveri del datore di lavoro.
Chi sceglie le ferie, il datore di lavoro o il dipendente?
Come anticipato, per quanto le ferie rappresentino un diritto imprescindibile di ogni lavoratore dipendente, sancito dalla Costituzione (articolo 36) e da numerosi interventi legislativi, ciò non significa che i lavoratori subordinati siano liberi di andare in ferie quando preferiscono.
La normativa nazionale (legge n. 66/2003) fissa dei “paletti” alla possibilità di andare in ferie, a cui devono attenersi sia il datore che il dipendente. Per prima cosa viene stabilito che il dipendente matura almeno 4 settimane di ferie l’anno, di cui 2 vanno godute entro il 31 dicembre mentre per quelle residue c’è tempo per altri 18 mesi.
A fornire ulteriori chiarimenti è stato il ministero del Lavoro con la circolare n. 8 del 2005, con la quale è stato stabilito che le ferie possono essere così fruite:
- le 2 settimane di cui fruire entro l’anno di maturazione possono essere godute anche in maniera ininterrotta (o continuativa) laddove la richiesta del dipendente sia stata formulata con congruo preavviso così da consentire all’azienda di valutare le esigenze aziendali e quelle personali del dipendente;
- il secondo periodo fruibile anche in modo frazionato entro i 18 mesi successivi all’anno di maturazione;
- laddove il Ccnl riconosca dei giorni di ferie aggiuntivi, allora questi possono essere fruiti in modo frazionato senza alcuna scadenza (salvo quando diversamente previsto dal contratto).
Quindi, chi lavora in azienda, specie se piccola, deve concordare con largo anticipo il piano ferie per consentire al datore di organizzare la produzione durante i periodi di assenza. Infatti ci sono due principi da controbilanciare: il diritto al recupero
psicofisico del dipendente e la produttività.
Per questo il datore di lavoro può negare le ferie e posticiparle motivando il diniego sulla base di concrete esigenze aziendali. In tal caso le ferie “non si perdono” ma potranno essere fruite in un momento successivo.
In caso di chiusura aziendale il dipendente è costretto ad andare in ferie?
Più volte la Cassazione ha confermato che le ferie del dipendente coincidono con la chiusura aziendale, ove prevista. Vuol dire che, ad esempio, se il datore di lavoro decide di interrompere l’attività durante il mese di agosto, tutti i dipendenti saranno costretti ad andare in vacanza in quel periodo.
In questo caso si parla di “ferie collettive e forzate” dato che sono godute contemporaneamente da tutti gli impiegati senza possibilità di scelta.
Il datore può richiamare dalla ferie?
A conferma del fatto che tra dipendente e datore di lavoro prevale quest’ultimo, la legge prevede che l’azienda abbia il diritto di richiamare i propri lavoratori dalle ferie e di farli tornare a lavoro, se necessario.
Regole, motivi e vincoli del richiamo dalle ferie sono stabiliti dai singoli Ccnl (con differenze anche sensibili).
Qualora il contratto collettivo/individuale non preveda alcun vincolo di reperibilità del dipendente durante le ferie, il datore non può esercitare il potere di richiamo; al contrario in altri Contratti può essere stabilito l’obbligo di reperibilità. In ogni caso, se il dipendente è costretto a interrompere le ferie e tornare al lavoro, è obbligatorio corrispondergli un indennizzo economico in busta paga e, in alcuni casi, rimborsare le spese sostenute per la vacanza.
Quando può avvenire il richiamo? Si tratta di ipotesi eccezionali che devono rispondere a particolari esigenze produttive. In altre parole, ci può essere il richiamo dalle ferie soltanto se la presenza in sede del dipendente è fondamentale per la continuità aziendale.
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