“Non è stato fatto nulla per prevenire la guerra, non mi aspetto nulla dal vertice Nato”. Intervista all’ex ambasciatore Carnelos

Alessandro Cipolla

11 Luglio 2023 - 09:06

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A Vilnius è iniziato il vertice Nato: per fare il punto della situazione sulla guerra in Ucraina abbiamo intervistato l’ex ambasciatore Marco Carnelos, attuale CEO di MC Geopolicy.

“Non è stato fatto nulla per prevenire la guerra, non mi aspetto nulla dal vertice Nato”. Intervista all’ex ambasciatore Carnelos

La guerra in Ucraina ha tagliato il triste traguardo dei 500 giorni ma ancora non si intravede una luce alla fine del proverbiale tunnel, con la controffensiva ucraina che stenta a decollare nonostante l’avanzata a Bakhmut e la Russia trincerata a difesa dei territori conquistati.

In questo scenario da guerra novecentesca - anche per l’alto numero di morti in entrambi gli eserciti - il vertice Nato di Vilnius in Lituania è stato dipinto come un possibile spartiacque del conflitto in Ucraina, con l’Occidente chiamato a prendere importanti decisioni come l’ingresso di Kiev nell’Alleanza atlantica o quali altre armi inviare alle truppe del presidente Volodymyr Zelensky.

Arrivati a questa sorta di bivio, abbiamo voluto fare il punto della situazione della guerra in Ucraina con Marco Carnelos, attuale CEO di MC Geopolicy - società di consulenza strategica e geopolitica - e in passato Ambasciatore in Iraq, Inviato Speciale per il Medio Oriente e consigliere di tre presidenti del Consiglio.

La guerra è in corso da 500 giorni e ancora non si riesce a capire come poter venire fuori da questo pantano. Dall’alto della sua esperienza, poteva essere fatto di più dal punto di vista diplomatico?

Nel rispondere opererei una distinzione tra la fase pre-conflitto e quella a ostilità iniziate. Nel primo caso non è stato fatto praticamente nulla per prevenire la guerra. Venticinque anni di moniti russi all’indirizzo delle potenze occidentali contro l’espansione a Est della NATO sono stati ignorati. I tentativi operati dopo i fatti di Maidan a Kiev dell’inverno 2014 - sui quali un giorno qualche storico serio farà finalmente piena luce, ovvero gli accordi di Minsk - sono stati utilizzati secondo le stesse ammissioni di due dei protagonisti di quelle intese, l’ex Cancelliere tedesco Merkel e l’ex Presidente francese Hollande, per dare tempo all’Ucraina di riarmarsi. Le intenzioni, quindi, erano apparentemente ben diverse da una soluzione negoziata. Dopo l’imperdonabile avvio delle ostilità da parte russa 500 giorni fa, l’unico tentativo negoziale di cui abbiamo una certa contezza è stato quello descritto dall’ex primo ministro israeliano Naftali Bennet. Di solito, nelle democrazie occidentali, qualsiasi cosa venga detta da un primo ministro israeliano viene sempre presa come altamente attendibile, non mi chieda da dove deriva questa tendenza, quasi per oro colato direi. Ebbene se dobbiamo stare al resoconto di Bennet, una tregua era stata sostanzialmente raggiunta nella primavera 2022 poi, a quanto pare, l’allora premier britannico Boris Johnson si sarebbe precipitato a Kiev per un improvvido viaggio in cui avrebbe convinto Zelensky a fare marcia indietro. Forse un giorno sapremo se Johnson agì a titolo personale, circostanza che sarei propenso a escludere, o se invece lo fece su ordine di Washington.

Cosa dobbiamo aspettarci dal vertice Nato di Vilnius?

Mi perdoni il francesismo ma il vertice di Vilnius partorirà una “supercazzola” planetaria che semanticamente verrà tuttavia articolata in modo tale che tutti vi ritroveranno un successo da invocare. Sarà una replica di Bucarest 2008, ovvero tutti contenti e, quindi, tutti scontenti.

Si parla molto della possibile “soluzione alla coreana”, con la guerra congelata lasciando alla Russia i territori conquistati e fornendo all’Ucraina determinate garanzie di sicurezza. Secondo lei si tratta di un epilogo plausibile del conflitto?

È una soluzione che appare sempre più plausibile per l’apparente consunzione dei due contendenti. In tal caso lascerebbe tuttavia aperto un delicato problema nel cuore dell’Europa, una specie di Spada di Damocle, anche perché sospetto che nessuno dei due contendenti aderirà in pieno all’eventuale tregua/cessate il fuoco. Scordiamoci quindi la sostanziale tranquillità che per decenni ha contraddistinto il 38° parallelo nella penisola coreana. Sarà comunque una manna per i contrapposti complessi militari-industriali che alimentano il conflitto e un bagno di sangue finanziario per le nazioni che li finanzieranno.

L’Italia finora sta svolgendo un ruolo da comprimario, venendo spesso tagliata fuori dai vertici che contano per non parlare del flop della conferenza sulla ricostruzione che si è trasformato in un bilaterale con l’Ucraina. È questa la nostra nuova dimensione internazionale?

Al momento, purtroppo, appare proprio questo il caso. Mi aspettavo, ingenuamente, che con un Governo ampiamente auto conclamatosi sovranista come quello attuale il margine di manovra del nostro Paese sarebbe aumentato, ma finora non è stato così, anzi… L’entità del nostro impegno a favore dell’Ucraina non ci vede in prima fila e, quindi, permane una tendenza a ignorarci (vedasi il mancato coinvolgimento di Palazzo Chigi nelle consultazioni ristrette atlantiche nei giorni del finto colpo di stato operato dalla Wagner). Ad aggravare la situazione concorre una nostra tendenza – scolpita nel DNA di quasi tutte le nostre forze politiche – ad appiattirci invece che ad aderire criticamente e/o costruttivamente alle linee dettate da Washington e Bruxelles. Chi eccede nell’appiattimento finisce per essere considerato come scontato e, in quanto tale, non consultato. In sintesi, se qualcuno alla Casa Bianca può far risparmiare una telefonata a un Presidente in apparente deterioramento senile e con una capacità lavorativa ridotta come è il caso di Joe Biden, approfitta certamente dell’occasione. Il nostro è un atteggiamento che, come ho potuto constatare anche personalmente, ha contraddistinto – con qualche eccezione – quasi tutti i Governi italiani degli ultimi decenni a prescindere dal colore politico. Se solo l’Italia fosse in grado di operare con almeno il 10% dell’autonomia manifestata dalla Turchia, che resta pur sempre un membro della NATO, saremmo autenticamente dei protagonisti.

Il presidente Erdogan sta proseguendo nella sua ambigua strategia della collocazione Atlantica mantenendo però il dialogo e importanti rapporti commerciali con la Russia, anche se in Libia e in Siria le loro posizioni sono contrapposte. Quale può essere nei prossimi mesi il ruolo della Turchia?

È veramente difficile dirlo. Erdogan, per certi versi, è uno dei leader più imprevedibili di questo primo scorcio del 21° secolo. Sta giocando le sue partite geopolitiche in Ucraina, Europa, Africa, Asia e Medio Oriente. Non sempre i vantaggi sono immediatamente percepibili. Mi accontenterei se contribuisse almeno a mantenere stabile il Medio Oriente e aperti i canali di dialogo con Russia e Ucraina. La Turchia diventerà comunque un membro dei BRICS e forse di qualche altro gruppo di convergenza euroasiatica che stanno crescendo come funghi. Voglio proprio vedere come si metterà per il fianco sud della NATO e per il contenimento europeo dei flussi migratori da Asia e Africa. Quando si respinge qualcuno con disprezzo come l’Europa ha fatto per oltre mezzo secolo con la Turchia, prima o poi un prezzo si paga. Ad Ankara alla Von der Leyen l’hanno fatta sedere su un divano, si meritava a malapena uno strapuntino per non parlare di come è stata trattata dai cinesi quando è andata a Pechino a fare la spalla di Macron.

Vista la sua profonda conoscenza delle vicende in Medio Oriente e nel Mediterraneo, la guerra in Ucraina potrebbe ulteriormente destabilizzare anche questi due fronti da sempre particolarmente caldi?

Ovviamente mi auguro di no! Il Medio Oriente sta subendo una profonda trasformazione dovuta alla fine della cosiddetta Pax Americana nella regione. Tradizionali alleati di Washington come Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi stanno rivolgendo lo sguardo altrove, soprattutto verso la Cina e i BRICS. La ripresa del dialogo tra Iran e Arabia Saudita sta sconvolgendo l’agenda regionale, apparentemente in meglio. Conto sulla Turchia come ho accennato prima ma il mio principale timore e che qualcuno, contando sulla distrazione americana, ne approfittasse per rovesciare il tavolo di una complessa partita a poker regionale in cui, per il momento, appare inevitabilmente destinato a perdere.

Prima di salutarci, lei crede che questo conflitto possa degenerare in una guerra nucleare o mondiale?

Fino a qualche tempo fa non ci credevo, ora sto iniziando a cambiare idea. La mia principale preoccupazione è la crescente frustrazione russa. Mosca ha invaso l’Ucraina anche perché per decenni tutti suoi moniti sono rimasti ascoltati. Ora, a conflitto in corso, tutta una serie di nuovi moniti russi all’Occidente sull’invio di certi tipi di armamenti (razzi, missili, carri armati e aerei) sono stati parimenti ignorati, l’ultimo in ordine di tempo è l’annunciato nonché deprecabile invio statunitense di bombe a grappolo. Non vorrei che la frustrazione e la rabbia russa producesse un altro madornale e criminale errore: l’utilizzo di un mini-ordigno atomico a scopo dimostrativo in Ucraina occidentale. La cosa che più mi sconcerta non è solo la potenziale temerarietà russa ma l’agghiacciante sensazione che in Occidente vi sia qualcuno che non solo si augura un siffatto scenario, ma che stia addirittura operando affinché si produca per segnare un altro punto nella battaglia propagandistica delle narrative contrapposte e per fare in modo che con la Russa non si potrà mai più tornare indietro. Insomma, nelle contrapposte cancellerie vedo un lungo, lunghissimo sonno della ragione. È come se tutte avessero inserito, per quanto riguarda le loro opzioni politiche, un inquietante pilota automatico verso un punto di non ritorno.

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