La Cina impone controlli sulle esportazioni di terre rare: l’Europa teme ripercussioni su tecnologia, energia verde e competitività industriale.
La Cina annuncia controlli stringenti sulle esportazioni di terre rare e l’Europa trema.
Vitali per la produzione di strumenti tecnologici, le terre rare rappresentano il tesoro sulla quale si gioca il futuro di numerosi settori di produzione in tutto il mondo e anche solo l’eventuale possibilità che la Cina decida di diminuire le esportazioni all’estero di terre rare è sufficiente a far sì che l’Unione Europea entri in allarme, sperando nell’affidabilità di un partner commerciale che ha sempre trattato con diffidenza.
La notizia dell’introduzione di “controlli radicali” sulle esportazioni di terre rare da parte di Pechino ha scosso Bruxelles. Il portavoce della Commissione per il commercio, Olof Gill, ha dichiarato che l’Unione europea “è preoccupata e sta analizzando i dettagli della decisione cinese”, ricordando come la questione fosse già stata affrontata al vertice UE-Cina dello scorso luglio.
Le terre rare sono diventate un tassello cruciale nelle strategie industriali globali. Con oltre il 70% dell’attività estrattiva e più del 90% della capacità di raffinazione mondiale, la Cina detiene un monopolio che va ben oltre il valore economico di questi materiali. Per l’Europa, la decisione di Pechino rischia di compromettere non solo la competitività industriale, ma anche la transizione verde. Scopriamo quali sono i rischi e quali potrebbero essere le strategie europee per non sottostare al monopolio cinese.
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Terre rare, cosa accade se la Cina diminuisce le esportazioni?
Le terre rare sono il cuore silenzioso di gran parte delle tecnologie moderne. Il gruppo di 17 elementi chimici è fondamentale per la produzione di smartphone (e di batterie, veicoli elettrici e turbine eoliche. Questi elementi si trovano nei chip dei computer, nei magneti dei motori elettrici, nelle pale delle turbine eoliche, nei sistemi di guida dei missili e persino nei display dei nostri smartphone.
Senza di esse, insomma, la produzione di auto elettriche, dispositivi digitali o impianti per energie rinnovabili subirebbe un brusco rallentamento. È proprio per questa loro onnipresenza che la dipendenza globale dalla Cina rappresenta un rischio concreto: Pechino controlla gran parte della filiera, dalla miniera al prodotto finito.
Se la Cina dovesse effettivamente ridurre le esportazioni, l’impatto sull’economia globale sarebbe significativo. I prezzi delle terre rare salirebbero, molte aziende europee e americane potrebbero trovarsi senza forniture stabili e i progetti legati alla transizione ecologica potrebbero rallentare.
Inoltre, il dominio cinese in questo campo offre a Pechino una leva geopolitica potente: la possibilità di condizionare le scelte economiche e industriali di altri paesi. Un controllo eccessivo di una risorsa così cruciale rischia di trasformarsi in uno strumento di pressione politica, minando la sicurezza economica europea e globale. Per Bruxelles, la posta in gioco non è solo industriale, ma anche strategica.
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Terre rare, Cina aumenta i controlli e l’Europa cerca soluzioni
Di fronte all’annuncio cinese, la reazione dell’Unione Europea è stata immediata. La Commissione ha ribadito la necessità che Pechino “si comporti come un partner commerciale affidabile” e garantisca “un accesso stabile e prevedibile” alle materie prime essenziali. Tuttavia, Bruxelles è consapevole che affidarsi esclusivamente al dialogo diplomatico non basta. Per questo, l’UE sta accelerando le iniziative volte a diversificare le fonti di approvvigionamento, investendo nella ricerca di nuovi giacimenti, nel riciclo e nel recupero dei materiali da chip dismessi.
L’obiettivo è costruire una filiera europea delle terre rare, più resiliente e autonoma. Il Critical Raw Materials Act, proposto nel 2023, punta proprio a ridurre la dipendenza da singoli paesi, promuovendo accordi strategici con partner come Canada, Australia e Paesi del’Africa. Ma la strada è lunga: l’apertura di nuove miniere in Europa è spesso ostacolata da vincoli ambientali, tempi burocratici e opposizione locale.
La sfida, dunque, è duplice: da un lato garantire la sostenibilità ecologica delle nuove attività estrattive, dall’altro mantenere la competitività industriale in un contesto globale sempre più frammentato. L’Europa sa che non può permettersi di restare indietro.
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