Eredità e patrimonio di Giorgio Armani, ecco le volontà del testamento

Emanuele Di Baldo

12 Settembre 2025 - 12:10

A 91 anni è scomparso il celebre stilista Giorgio Armani, il quarto uomo più ricco d’Italia: ma chi eredità il suo patrimonio? Chi lo succederà in azienda?

Eredità e patrimonio di Giorgio Armani, ecco le volontà del testamento

Giorgio Armani si è spento il 4 settembre 2025, all’età di 91 anni, lasciando un vuoto difficilmente colmabile nel mondo della moda - e non solo - italiana e internazionale. Ma il celebre stilista aveva già da tempo messo ordine alla sua imponente eredità (sia patrimoniale che di stile e fama), lasciando chiare tracce delle volontà post mortem.

Universalmente riconosciuto come “Re Giorgio”, non era soltanto uno stilista, ma un simbolo di eleganza sobria e senza tempo, capace di definire un linguaggio stilistico riconoscibile in tutto il mondo. La sua morte apre inevitabilmente uno scenario delicato: cosa accadrà al suo immenso patrimonio economico e, soprattutto, chi prenderà le redini della Giorgio Armani S.p.A., una delle poche maison rimaste indipendenti nel panorama del lusso globale?

La normativa italiana in materia di successioni prevede regole precise, ma nel caso di Armani la situazione è peculiare: lo stilista non aveva figli e non era sposato, dunque non vi sono eredi diretti con diritti di legittima da tutelare. Ciò gli ha permesso di predisporre liberamente il proprio testamento, affiancandolo a uno statuto societario studiato per proteggere l’integrità del gruppo anche dopo la sua morte.

Il patrimonio lasciato in eredità non è solo materiale: oltre agli asset finanziari e immobiliari, Armani consegna al futuro un marchio che rappresenta un pezzo identitario e culturale del made in Italy, un “sistema di valori” fondato su sobrietà, coerenza e indipendenza imprenditoriale.

Ecco chi sono gli eredi di Giorgio Armani e come funzionerà la suddivisione di patrimonio ed eredità secondo le sue ultime volontà testamentarie.

Il testamento di Giorgio Armani: ecco a chi andrà l’eredità e come verrà suddivisa

Con la morte di Giorgio Armani si è chiusa un’epoca irripetibile per la moda italiana e internazionale. Ma le sue «creature» imprenditoriali avranno vita lunga, sia dal punto di vista economico che valoriale. La lettura dei due testamenti, redatti di suo pugno la scorsa primavera, ha svelato nel dettaglio come lo stilista abbia voluto preservare il futuro delle sue fatiche, la Giorgio Armani Spa, e custodire il patrimonio accumulato in oltre mezzo secolo di lavoro.

Giorgio Armani Spa alla Fondazione Armani

Al centro della successione c’è la Fondazione Giorgio Armani, che diventa proprietaria al 100% della maison. Alla Fondazione (che già deteneva lo 0,1%) spettano il 9,9% delle quote in piena proprietà e il 90% in nuda proprietà, mentre l’usufrutto su queste ultime è stato affidato a Pantaleo (Leo) Dell’Orco – compagno e braccio destro dello stilista – insieme ai nipoti Silvana Armani e Andrea Camerana e alla sorella Rosanna.

Sul fronte dei diritti di voto, Dell’Orco ottiene il 40%, la Fondazione il 30%, e Silvana e Andrea il 15% ciascuno. Restano invece escluse dalle decisioni strategiche Roberta e Rosanna Armani, a cui sono andate azioni prive di diritto di voto. Sul totale societario, quindi, Dell’Orco avrà il 30% di diritto di usufrutto e il 40%, come detto, del diritto di voto.

Parziale vendita futura a un colosso della moda e ipotesi quotazione

Un po’ a sorpresa, ,o stilista ha disposto anche l’apertura della maison a un futuro partner industriale (e non solo).

Entro 18 mesi dall’apertura della successione, la Fondazione dovrà cedere il 15% della società, con priorità a colossi come LVMH, EssilorLuxottica (che ha già risposto favorevolmente all’ipotesi) o L’Oréal, partner di pari standing e già consolidati nel mondo del lusso.

Il tutto, sempre e solo sotto la supervisione del fidato Pantaleo Dell’Orco. Una scelta che indica la volontà di garantire stabilità e continuità a un gruppo da più di 2 miliardi di fatturato e con 2.700 boutique in 60 Paesi.

Ma non solo. Sempre nel testamento Armani ha fissato con chiarezza i passaggi futuri per la maison: dopo la prima cessione del 15%, è previsto che tra il terzo e il quinto anno dalla successione la Fondazione, sempre in accordo con Dell’Orco, trasferisca allo stesso compratore una quota aggiuntiva compresa tra il 30% e il 54,9%. Con questa seconda operazione, il nuovo partner arriverebbe così a detenere la maggioranza della società.

Se, invece, questo step non dovesse concretizzarsi, entra in gioco l’alternativa della quotazione: le azioni Armani potranno essere ammesse su un mercato regolamentato italiano o di pari livello, su richiesta di Dell’Orco e di uno dei nipoti. Lo sbarco in Borsa dovrà avvenire entro tre anni dall’apertura del testamento, con un margine massimo estendibile a cinque e, solo in casi particolari, fino a otto anni.

E in caso di Ipo, lo stilista ha pensato a precise garanzie: la Fondazione sarà chiamata a valorizzare in modo ordinato la quota residua, mantenendo comunque una partecipazione minima del 30,1%. Una clausola che assicura continuità e controllo sul destino della maison.

Azioni e patrimonio investito: la scelta su Dell’Orco e familiari

Il testamento disciplina anche l’immenso patrimonio personale, stimato tra i 9,5 e i 13 miliardi di dollari. Una parte rilevante riguarda la quota del 2% di EssilorLuxottica, del valore di oltre 2,5 miliardi: circa il 40% è andato a Dell’Orco, il restante 60% ai familiari, mentre azioni singole (circa 7.500 ciascuno) sono state donate a collaboratori storici come Michele Morselli, Giuseppe Marsocci, Laura Tadini, Luca Pastorelli e Daniele Ballestrazzi.

Patrimonio immobiliare e volontà personali

Per quanto riguarda il patrimonio immobiliare, la società L’Immobiliare Srl – che possiede dimore a Saint Tropez, Antigua, Broni e Pantelleria – è stata divisa tra la sorella Rosanna e i nipoti Silvana e Andrea, con Dell’Orco che ne detiene l’usufrutto. A lui è andato anche l’usufrutto a vita del celebre palazzo di via Borgonuovo, a Milano, residenza storica dello stilista, con la precisa indicazione che arredi e opere restino al loro posto, a eccezione di un Matisse e di una fotografia di Rayman.

Ma il testamento entra nel dettaglio anche sulla gestione delle proprietà e dei beni personali. Roberta Armani e il compagno Paolo Berizzi potranno usufruire, su richiesta, delle residenze di New York, Parigi, Broni e di una casa scelta tra Saint Tropez, Antigua o Pantelleria. Il documento disciplina, inoltre, la suddivisione di oggetti e arredi, dai mobili ai soprammobili. Per quanto riguarda la barca, pur intestata alla sorella e ai nipoti, Pantaleo Dell’Orco avrà diritto di utilizzarla per quattro settimane l’anno, con possibilità di ospitare Michele Morselli e famiglia in parte del periodo.

Tra le sue volontà Armani non ha lasciato solo beni materiali. Ha voluto incidere anche la sua filosofia: la gestione del gruppo dovrà ispirarsi a etica, integrità, correttezza, ricerca di uno stile essenziale e mai ostentato, attenzione costante all’innovazione e alla qualità. Un lascito ideale che completa quello patrimoniale, trasformando la sua eredità in un progetto da tramandare, oltre che in un impero da amministrare.

Il patrimonio e l’impero di Giorgio Armani

Al momento della morte, come anticipato, il patrimonio di Giorgio Armani era stimato da Forbes in circa 11,5 miliardi di dollari, rendendolo il quarto uomo più ricco d’Italia e una delle figure di riferimento a livello globale nell’industria del lusso. Una ricchezza si fonda principalmente sulla Giorgio Armani S.p.A., la società che porta il suo nome e che egli fondò il 24 luglio 1975 insieme a Sergio Galeotti.

Oggi, con oltre 10.000 dipendenti e un fatturato di 2,3 miliardi di euro registrato nel 2024, l’impero Armani ha costruito una solidità rara, soprattutto se si considera che è rimasto - come volontà imprescindibile dello stesso fondatore - un gruppo indipendente: non è stato inglobato in colossi come LVMH o Kering, né è mai stato quotato in Borsa. Una scelta precisa, che ha garantito ad Armani un controllo totale sulla sua creatura e, di conseguenza, sulla gestione dei profitti.

Il marchio Armani si articola in diverse linee: la haute couture di Giorgio Armani Privé, l’eleganza formale di Giorgio Armani, la versatilità di Emporio Armani, fino alle proposte più accessibili come Armani Exchange. Questa stratificazione ha permesso allo stilista di coprire diverse fasce di mercato, raggiungendo sia l’élite del lusso che i consumatori giovani e cosmopoliti. Negli anni, il brand ha ampliato il proprio raggio d’azione includendo profumi, cosmetici, occhiali, accessori e perfino abbigliamento sportivo, con la linea EA7, legata a sponsorizzazioni olimpiche e a discipline come il basket e il calcio (di pochi giorni fa era la notizia di una partnership con Juventus).

Accanto alla moda, Armani ha costruito un vero impero nel settore hospitality: gli Armani Hotels a Milano e Dubai rappresentano la traduzione architettonica - e di lifestyle - della sua filosofia estetica. Non meno rilevante è l’investimento nell’arredamento e nel design di interni. A tutto questo si aggiunge la proprietà della squadra di basket Olimpia Milano, uno dei club più prestigiosi in Europa (insieme alla Virtus Bologna, l’unica compagine italiana che disputa l’Eurolega), che ha beneficiato nel tempo non solo di investimenti economici, ma anche dell’immagine e del branding di Armani stesso.

Dal punto di vista finanziario, i numeri testimoniano una gestione accorta. Dal 2021 al 2024, il gruppo ha generato quasi 600 milioni di utili, reinvestendo gran parte dei ricavi in progetti di espansione e consolidamento.

Nel 2024, nonostante il rallentamento globale del lusso (-5% nei ricavi rispetto al 2023), Armani ha raddoppiato gli investimenti, portandoli a 332 milioni di euro, per sostenere la ristrutturazione delle boutique di Milano, Parigi e New York e potenziare l’e-commerce, settore che lo stilista aveva deciso di internalizzare.

Un elemento distintivo è stato il rifiuto ostinato di Armani di cedere a logiche di acquisizione o di quotazione in Borsa, almeno fino a quando è stato in vita. Una scelta che gli ha permesso di preservare una governance compatta e una coerenza stilistica, ma che rende oggi più complessa la valutazione di mercato del gruppo. Tuttavia, proprio questa indipendenza costituisce parte del valore ereditato: Armani non lascia un brand inglobato in un conglomerato, ma una maison con regole proprie, capace di definire da sé le proprie strategie.

Chi sono gli eredi di Giorgio Armani?

Come detto, l’assenza di figli o di un coniuge pone Giorgio Armani in una situazione ereditaria particolare. In Italia, in questi casi, gli eredi legittimi sono i parenti più prossimi, e nel caso dello stilista questo nucleo è rappresentato dalla sorella Rosanna e dai tre nipoti. Ma, oltre ai legami familiari, Armani aveva predisposto un sistema di successione che coinvolge anche figure manageriali e istituzionali di sua fiducia.

La sorella Rosanna Armani, 86 anni, è stata una figura cruciale nei primi anni della maison, soprattutto nello sviluppo di Emporio Armani, la linea più giovane e sperimentale. Suo figlio, Andrea Camerana, classe 1970, è entrato nel consiglio di amministrazione del gruppo nel 2007 e rappresenta un anello di congiunzione tra la famiglia Armani e quella Agnelli: il padre, Carlo Camerana, era infatti cugino di Giovanni e Umberto Agnelli. Andrea è sposato con la cantante Alexia, ed è considerato uno dei possibili protagonisti del futuro assetto societario (anche non imminente), soprattutto per il suo profilo imprenditoriale e istituzionale.

Accanto a loro, ci sono le due nipoti, figlie del fratello Sergio scomparso anni fa: Silvana Armani, 69 anni, e Roberta Armani, 54. Silvana ha trascorso oltre quarant’anni accanto allo zio, diventando il suo braccio destro creativo nelle collezioni femminili. Giorgio stesso l’ha definita la custode ideale del suo stile, per la capacità di interpretare e perpetuare quella filosofia estetica fondata su sobrietà ed eleganza. Roberta, invece, ha avuto un ruolo fondamentale nelle relazioni pubbliche: responsabile dei rapporti con le star, è riuscita a portare Armani sulle passerelle del cinema internazionale, stringendo legami con Hollywood e con il mondo della musica. La sua capacità di comunicare il brand al di fuori del settore strettamente moda la rende una figura chiave per l’immagine futura della maison.

Tra le figure non familiari ma considerate “di famiglia” spicca Pantaleo Dell’Orco, 72 anni, storico collaboratore e compagno di Armani. Manager di lungo corso e consigliere delegato del gruppo, ha guidato per anni le collezioni maschili ed è sempre stato al fianco dello stilista nelle decisioni strategiche. Non è un caso che, date le volontà del testamento, esso non sia solo un “erede morale” ma un punto fermo della futura governance.

Infine, un ruolo centrale è destinato alla Fondazione Giorgio Armani, creata nel 2016 con l’obiettivo di salvaguardare l’impresa e impedire che il gruppo venga smembrato o acquisito da grandi conglomerati internazionali. Inizialmente titolare di una quota simbolica, la Fondazione ora acquisisce maggior peso secondo le disposizioni testamentarie, diventando il garante di quei “principi fondanti” che Armani ha inserito nello statuto: reinvestimento degli utili, prudenza nelle acquisizioni, coerenza stilistica, indipendenza.

Statuto e successione d’azienda: le volontà di Armani per mantenere intatti stile, lungimiranza e profitti

Il cuore della successione non riguarda solo il patrimonio personale, ma soprattutto il futuro della Giorgio Armani S.p.A.. Lo stilista, consapevole della propria età e della necessità di pianificare per tempo, aveva già definito un assetto societario che entrerà in vigore proprio con l’avvenuta successione. Come anticipato, nel 2016 venne approvato uno statuto speciale, aggiornato nel 2023, che regola la governance del gruppo e stabilisce regole precise su dividendi, diritti di voto e possibili scenari futuri.

Lo statuto introduce sei categorie di azioni, dalla A alla F, a cui si sono aggiunte due tipologie senza diritto di voto. Tra queste, le categorie A e F sono le più rilevanti: pur rappresentando complessivamente solo il 40% del capitale sociale, attribuiscono oltre il 53% dei diritti di voto, garantendo ai cosiddetti “soci forti” il controllo delle decisioni più importanti. I soci A hanno la facoltà di nominare tre consiglieri, tra cui il presidente, mentre i soci F designano due consiglieri, compreso l’amministratore delegato.

Le regole societarie sono state pensate per bilanciare stabilità e sviluppo. Alcune decisioni, come l’approvazione del bilancio, richiedono la maggioranza semplice, ma per operazioni straordinarie – fusioni, scissioni, modifiche statutarie, aumenti di capitale – serve il 75% dei voti.

Per quanto riguarda le retribuzioni dei manager, lo statuto introduce vincoli rigidi: senza l’approvazione del 51% degli azionisti, non possono essere riconosciuti compensi, se non sotto forma di partecipazioni agli utili o stock option.

Un capitolo cruciale riguarda la quotazione in Borsa. Lo statuto prevedeva che non potrà avvenire prima di cinque anni dalla scomparsa del fondatore e solo con l’approvazione della maggioranza degli amministratori. Questa clausola riflette la volontà di Armani di mantenere il gruppo indipendente nel breve-medio periodo, ma lascia comunque aperta la possibilità di un’IPO futura, eventualmente necessaria per sostenere la crescita globale, come confermato dalla lettura del testamento.

Ora che è stata definita l’eredità, il futuro anteriore del gruppo dipenderà dalla capacità degli eredi di collaborare e mantenere saldo l’equilibrio tra tradizione e modernità. La maison dovrà affrontare sfide cruciali: dal calo dei consumi nel lusso alla digitalizzazione dei mercati, dalla competizione con i grandi conglomerati internazionali alla crescente importanza dei mercati asiatici. Tuttavia, va detto, la pianificazione meticolosa di Armani e la solidità finanziaria accumulata negli anni offrono una base che poche aziende possono vantare.

Argomenti

Iscriviti a Money.it