Non scende la preoccupazione per i dazi, con la tensione alle stelle per le tariffe sui prodotti farmaceutici.
Se il problema dei dazi americani sembrava risolto si è peccato di ottimismo. I farmaci non sono fuori dal campo, e l’annuncio di Trump fa temere il peggio.
Dopo dure minacce, la sospensione delle tariffe commerciali e lunghi mesi di trattative, Trump ha raggiunto un accordo con l’Ue sui dazi alle fine di luglio. Un compromesso ritenuto soddisfacente da Bruxelles, che ha apprezzato la tariffa base al 15%. Il problema è che dagli Stati Uniti non è arrivata menzione sulle esenzioni richieste dall’Unione europea, tra cui i prodotti farmaceutici non menzionati dal documento firmato da Trump.
Complica la situazione il fatto che il tycoon è tornato a minacciare l’Europa con tariffe doganali più aspre, ricordando l’impegno ad acquistare gas e altri beni statunitensi. Guardare ai dazi farmaceutici generali del 15% con speranza è quindi molto difficile, soprattutto perché una recente intervista del tycoon dimostra ancora una volta l’instabilità delle decisioni dell’amministrazione statunitense.
Il “nuovo” annuncio di Trump sui dazi farmaceutici
Ormai si dovrebbe essere abituati alle forti dichiarazioni di Donald Trump in merito ai nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti, visto l’andamento delle trattative negli ultimi tempi. Purtroppo, è impossibile ignorare le parole del tycoon, da sole sufficienti a scuotere i mercati e segnare profondamente gli equilibri commerciali, anche quando poi non vengono seguite dai fatti. L’imposizione di alcuni dazi, compresi quelli riguardanti l’Europa, si è da subito configurata come strumento del braccio di ferro cominciato dagli Usa. Prima minacce di tariffe elevatissime, poi la proposta di soluzioni moderate, fino al raggiungimento di un accordo che come già detto tralascia buona parte degli elementi che preoccupano l’Europa.
In questo contesto, anche le parole del presidente americano sui dazi farmaceutici assumono diverse chiavi di lettura, ma la loro effettiva applicabilità non viene presa in considerazione neanche dagli analisti del settore. Eppure, non si hanno certezze. Bisogna quindi sapere che proprio in questi giorni Donald Trump si è espresso riguardo ai dazi farmaceutici, lasciandosi andare a dichiarazioni alquanto preoccupanti. Durante un’intervista rilasciata al programma Squawk Box della Cnbc, Trump ha raccontato che i dazi sui prodotti farmaceutici importati negli Stati Uniti potrebbero arrivare al 250%, l’importo più alto finora prospettato dal tycoon. Il piano enunciato dal presidente statunitense parte però con tariffe contenute, “un piccolo dazio” che entro un anno, “un anno e mezzo al massimo” dovrà salire al 150% e infine al 250%.
Per quanto sconcertante, considerando i danni che si prospettano anche con tariffe nettamente inferiore, e lontano dalle richieste di tutti i soggetti in trattativa, la nuova narrazione di Trump non fa davvero scalpore. Anche all’inizio del mese di luglio aveva annunciato possibili dazi al 200% sui farmaci importati, sempre per incentivare la produzione interna, ma di questa intenzione non si è poi saputo altro, neanche nel nuovo ordine esecutivo riguardante i dazi europei.
Cosa può succedere
Gli esperti hanno giudicato altamente improbabile l’imposizione di dazi farmaceutici al 200%, nonostante più di una volta siano stati annunciati dal presidente Trump. Il motivo risiede, molto semplicemente, nelle conseguenze devastanti sugli Stati Uniti. Accanto agli effetti puramente economici (e per dirla tutta non meno temibili), simili tariffe doganali comprometterebbero irreparabilmente la sanità americana, riducendo all’osso la disponibilità di diversi medicinali. La produzione interna Usa, infatti, non si avvicina neanche lontanamente al fabbisogno della popolazione per diversi farmaci generici e medicine salvavita, come:
- antibiotici comuni, tra cui la doxiciclina;
- iniettabili sterili (come i chemioterapici iniettabili);
- farmaci cronici (tra cui l’idrocortisone e i farmaci per la pressione sanguigna);
- biosimilari;
- insulina.
Una conseguenza che difficilmente può essere affrontata deliberatamente, senza dubbio un ostacolo più grande alle tariffe doganali di quanto non faccia il solo prospetto economico. Più di una volta economisti illustri hanno spiegato perché questa rigidità commerciale è deleteria anche e soprattutto per gli Stati Uniti, senza scalfire minimamente la rinnovata linea protezionista perseguita dall’amministrazione Trump. Gli analisti in questi mesi hanno ipotizzato il seguente scenario: un dazio iniziale tra il 10% e il 25%, che oggi possiamo dire confermato, seguito da un aumento fino al 40% circa. Non che numeri ridotti abbiano conseguenze irrisorie, soprattutto per l’Europa e quindi l’Italia che dovrà compensare un minore introito alzando i prezzi a carico della sanità pubblica e quindi dei contribuenti. Le agenzie faticheranno a rimborsare i costi dei farmaci, con limitazioni stringenti. In un modo o nell’altro, il costo sarà pagato dai cittadini europei, italiani in primis, addossati all’improvviso con il ridotto afflusso statunitense.
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