Criptovalute: staking tassato al 26% come reddito da capitale

Claudia Cervi

6 Luglio 2022 - 16:50

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Gli interessi guadagnati da depositi vincolati e prestiti di Bitcoin o di altre criptovalute sono tassati alla fonte dal sostituto d’imposta con aliquota del 26%. Le novità dell’Agenzia Entrate.

Criptovalute: staking tassato al 26% come reddito da capitale

L’Agenzia delle Entrate chiarisce che gli interessi e i proventi dello staking derivano dall’impiego del capitale e per tale ragione configurano un reddito di capitale, come già descritto dalla circolare 165/E/98. Vediamo allora come funziona l’imposta sullo staking.

Cos’è lo staking e quali sono i risvolti fiscali?

Il termine staking trae origine dal protocollo di validazione delle reti di alcune blockchain, la cd Proof-of-Stake, ma viene utilizzato in modo generico per indicare l’attività di deposito in un conto vincolato e di prestito da parte dei proprietari di criptovalute in cambio di interessi. In parole semplici, i token vengono prestati a intermediari specializzati per partecipare al processo di convalida dei blocchi, in cambio di un premio.

La mancanza di un quadro normativo di riferimento muove nuovamente l’intervento dell’Agenzia delle Entrate per definire i proventi di questa attività di finanza decentralizzata ai fini delle imposte dirette.

La risposta è contenuta in un lungo interpello (n° 956-771/2022) della Direzione centrale piccole e medie imprese delle Entrate, che ora vediamo più nel dettaglio.

Criptovalute e IVA

Nel documento, l’Agenzia ribadisce che non si applica l’IVA sulle operazioni in criptovalute:

  • con riferimento alle operazioni di cambio tra «valuta virtuale versus valuta tradizionale» dell’exchange;
  • per le operazioni di compravendita di criptovalute che movimentano il wallet.

Criptovalute e imposte dirette

Le operazioni di compravendita di Bitcoin e di altre criptovalute sono soggette alle imposte dirette applicando le norme previste per le operazioni in valute estere tradizionali, come già espresso nella risposta 788/E/2021 e ancor prima nella Risoluzione 72/E/2016. In quelle occasioni l’Agenzia ha spiegato che la norma di riferimento per il calcolo delle plusvalenze è l’articolo 67 del TUIR (testo unico delle imposte sui redditi), prevedendo che la cessione a titolo oneroso di Bitcoin e delle criptovalute sia assoggettata all’aliquota del 26% nel caso di plusvalenze, a condizione che la giacenza dei depositi e dei conti corrente del contribuente sia superiore a 51.645,59 euro per almeno sette giorni consecutivi.

Imposta sullo staking

A presentare istanza di interpello è stata una start up umbra che svolge operazioni sulla blockchain, dalla compravendita di valute virtuali, ai servizi di gestione dei wallet fino allo staking.

Secondo l’azienda, l’attività di staking era necessaria per l’esecuzione delle operazioni di validazione/convalida di nuovi blocchi della rete blockchain, con rischi legati alla sicurezza informatica e non di natura finanziaria. Per tale ragione ipotizzava che i proventi dello staking costituissero «redditi diversi» derivanti da «attività di lavoro autonomo non esercitata abitualmente».

Nella sua risposta, l’Agenzia ha espresso parere opposto, definendo l’attività di staking per la «validazione diffusa» un reddito da capitale. Per gli Uffici è sufficiente l’impiego di capitale per applicare l’imposta sostitutiva del 26%, con una ritenuta alla fonte operata dall’intermediario sostituto d’imposta.

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