Cosa sono i blue bond, i Titoli di Stato dell’Europa VS i Treasury

Laura Naka Antonelli

11/06/2025

L’idea dei blue bond non è del tutto nuova. L’Europa avrà il coraggio di agire per creare finalmente uno strumento che possa competere con i Treasury USA?

Cosa sono i blue bond, i Titoli di Stato dell’Europa VS i Treasury

Con gli eurobond blue, Europa ufficialmente nuova Terra Promessa per gli investimenti?

Risposta affermativa, sempre che il Vecchio continente apra al nuovo e decida finalmente di dar vita a un safe asset comune: eurobond, come li ha sponsorizzati più volti l’ex presidente del Consiglio ed ex presidente del Consiglio Mario Draghi. O meglio, e anche, “ blue eurobonds ”, come sono stati ribattezzati i Titoli di Stato espressione del debito comune europeo, in un paper stilato dall’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, e dal manager senior di Citadel, Angel Ubide.

I blue bond, precisa la proposta che porta il titolo di “Now is the time for Eurobonds: A specific proposal”, non sono una novità assoluta appena partorita da Blanchard e Ubide.

Quei bond blu e rossi proposti ai tempi della crisi dei debiti sovrani

Di blue bond si è parlato anche in passato, con altri paper, che hanno ribadito la necessità per l’Europa di emettere strumenti di debito comune: nel 2010, gli economisti Jacques Delpla e Jakob von Weizsäcker proposero per esempio i cosiddetti “ blue-red bonds ”.

Erano i tempi in cui, negli anni drammatici della crisi dei debiti sovrani, si parlava di una Europa a due velocità, divisa in due blocchi nettamente distinti: quello dei Paesi periferici (come Italia e Grecia), in generale dei PIIGS, alle prese con conti pubblici sul punto di esplodere, a causa di debiti troppo elevati, e quello dei Paesi core come la Germania, i cosiddetti Paesi virtuosi, con finanze pubbliche sotto controllo. Una differenziazione che esiste anche oggi, ma in modo decisamente più sfumato.

Gli economisti Jacques Delpla e Jakob von Weizsäcker proposero così nel 2010 di suddividere il debito pubblico di ciascun Stato membro dell’area euro in due parti: la prima parte, fino al 60% del PIL, rappresentata dai blue bond, sarebbe stata garantita in solido da tutti i Paesi dell’Eurozona, mentre la fetta di debito superiore, che avrebbe preso la forma dei Red bonds, o anche bond rossi, sarebbe stata priva della garanzia solidale.

I blue-red bonds furono solo alcune delle idee che vennero sfornate in quegli anni, e che il paper di Blanchard e di Ubide ha menzionato.

Tra le altre, che rimasero sulla carta, anche gli E-bonds dell’ex presidente del Consiglio e senatore a vita Mario Monti e, successivamente, i cosiddetti “Esbies”: tutte proposte che non furono sufficienti a suonare la sveglia all’Europa e a convincerla a mettersi seriamente al lavoro per creare un safe asset comune. E tutte proposte che caddero nel vuoto. Motivo: nessuna di esse venne attuata “a causa della mancanza di un supporto politico” (leggi Germania), ma anche per i dubbi sulla solidità e sulle caratteristiche puramente tecniche che il nuovo Titolo di Stato avrebbe potuto e dovuto presentare.

Timing perfetto per l’eurobond con crisi di fiducia che si è abbattuta su dollaro e Treasury?

Blanchard e Ubide, con il paper appena pubblicato, sono tornati ora alla carica, sventolando un timing che per l’Europa potrebbe essere perfetto.

Con la pubblicazione della loro analisi, i due esperti hanno riflettuto infatti sul ruolo che gli eurobond potrebbero avere nell’accogliere le richieste che arrivano dagli investitori di tutto il mondo che, in un momento in cui il dollaro e i Treasury non fanno più rima con safe asset, hanno fame di alternative che possano prendere il posto degli asset finanziari made in USA.

C’è grande appetito, in generale, soprattutto di investimenti alternativi ai Treasury, i Titoli di Stato americani, che non vengono più considerati l’asset sicuro che erano un tempo, a causa delle finanze sempre più disastrate degli Stati Uniti e di una politica fiscale espansiva che fa di tutto, fuorché rassicurare chi teme colpi di testa “fiscali” di Trump, sotto forma di tagli alle tasse insostenibili.

I due esperti hanno così proposto un eurobond, o blue bond, espressione del debito comune europeo, che possa rispondere all’esigenza di chi, nel prendere le distanze dai Treasury, va alla ricerca di investimenti in obbligazioni che possano fare le veci di quelli che erano considerati, un tempo, titoli di Stato sicuri.

La posta in gioco è alta, in quanto l’Europa potrebbe cogliere l’attimo e guadagnare maggiore appetibilità, come ha fatto notare la stessa presidente della BCE Christine Lagarde nel presentare le potenzialità che si stagliano all’orizzonte per l’euro, agli occhi degli investitori, soprattutto di quelli che temono di essere overweight sugli USA e, dunque, di essersi posizionati troppo sul dollaro, sui Treasury e sulle stesse azioni degli Stati Uniti: economia che sarà anche e tuttora la numero al mondo ma che al momento viene additata come la principale responsabile di un terremoto che rischia di far collassare la crescita del PIL globale, a causa dei dazi decisi dal suo presidente Donald Trump.

La proposta: scambiare i Titoli di Stato nazionali con i blue bond fino al 25% del PIL

Il documento scritto da Blanchard e Ubide non nega gli scogli di natura tecnica che la creazione di un blue bond, così come i due esperti hanno deciso di ribattezzare quelli che sarebbero in sostanza gli eurobond, potrebbe comportare. Ma da qualche parte si deve anche iniziare. Ed è così che l’idea è la seguente: “La nostra opinione, basata sulle discussioni intavolate con i partecipanti al mercato, è che scambiare i Titoli di Stato nazionali con i blue bond fino al 25% del PIL potrebbe essere abbastanza per soddisfare gli obiettivi di liquidità, e per non sollevare problemi legati alla sicurezza” di questi bond.

La proposta comporta “ una condivisione del rischio assente o minima, un livello minimo di ingegneria finanziaria, e nessun cambiamento alle regole fiscali dell’Unione europea”, si legge nel paper, che fa riferimento a un piano “indipendente dalle decisioni dell’Unione europea di finanziare le proprie spese con le tasse o con il debito ”.

A essere presentato è praticamente un “working document”, ergo un documento di lavoro: una proposta “che può essere modificata per poter superare test di natura legale, concettuale, pratica, politica ”.

Lo scambio porterebbe il rapporto debito-PIL dell’area euro a scendere al 60%

Blanchard e Ubide spiegano che il fulcro attorno a cui ruota il progetto è quello di scambiare un volume di Titoli di Stato, fino al 25% di debito rispetto al PIL di ciascun Paese, in blue bond: tale scambio, che si tradurrebbe nella creazione di un mercato del debito costituito da eurobond o blu bond, avrebbe un valore iniziale di 5 trilioni di euro, e dovrebbe essere sufficiente a portare il rapporto del debito-PIL dell’Eurozona attorno al 60%, pari esattamente alla soglia massima del rapporto debito-PIL che il nuovo Patto di Stabilità e di crescita dell’Europa impone ai singoli Stati di rispettare.

Al 60%, il ratio debito-PIL dell’area euro diminuirebbe in modo significativo rispetto all’87% dello scorso anno, confermandosi inoltre decisamente inferiore rispetto al rapporto debito-PIL degli Stati Uniti, pari al 100%, e così attraendo potenzialmente gli investitori esteri.

Con i blue bond, spiega il paper, verrebbero a crearsi in Europa due tipi di bond: i blue bond senior e i Titoli di Stato nazionali junior, con i primi che, ovviamente, presenterebbero rendimenti inferiori e i secondi rendimenti più alti.

In termini di partecipazione al programma, questa “dovrebbe essere aperta a tutti gli Stati membri dell’UE senza restrizioni”. A tal proposito, nel ricordare che alcune economie presentano livelli di debito pubblico rispetto al PIL bassi, gli autori del paper ammettono che “ scambiare il 25% del PIL per i bond blue potrebbe non essere attraente, visto che rimarrebbe uno spazio troppo esiguo per i Titoli di Stato nazionali”.

Di conseguenza, “ questi Paesi potrebbero decidere di non partecipare o partecipare in misura inferiore al 25%, e in quel caso il loro contributo al pagamento degli interessi sarebbe anch’esso più basso”.

Se poi, per qualsiasi ragione, “un Paese decidesse di diminuire la propria quota di Titoli di Stato che ha scambiato in eurobond, potrebbe farlo lanciando operazioni di buyback sui blue bond ed emettendo proprio debito ”.

Stessa cosa potrebbe fare “un Paese che decidesse di lasciare l’Unione europea”: ricorrere a un buyback, oppure “impegnarsi a pagare gli interessi in base alla propria quota di blue bond esistente” prima di recidere qualsiasi legame con l’UE.

I blue bond dovrebbero essere debiti sovrani, ecco perché. Scambio con i Titoli in mano alla BCE?

In ogni caso, questi blue bond dovrebbero essere considerati debiti sovrani e non debiti sovranazionali, dunque non come viene al momento classificata la maggior parte dei bond UE.

La loro classificazione come debiti sovrani consentirebbe infatti a questi Titoli di Stato di entrare a far parte degli indici che includono i bond governativi, e che garantiscono la maggiore partecipazione degli investitori.

Il paper riflette anche sulla possibilità di ricorrere allo scambio tra debiti sovrani nazionali, rappresentativi del debito pari al 25% del PIL, con i blue bond, attraverso il canale della BCE.

Pur avendo mandato in soffitta i suoi bazooka monetari QE-Quantitative easing e PEPP-QE pandemico, la Banca centrale europea ha ancora in portafoglio, di fatto, Titoli di Stato rappresentativi dei debiti sovrani dei Paesi dell’area euro - BTP, Bund, Bonos, OAT & Co.

Di conseguenza, sebbene non in modo esclusivo, “una alternativa potrebbe essere quella di sostituire i Titoli di Stato di ogni nazione presenti nel bilancio della Banca centrale europea (BCE), in parte o in totale”, considerando che il valore di questi bond dell’Eurozona che stazionano nel bilancio della BCE si attesta attorno a 2 trilioni di euro.

In questo modo, “sebbene la capacità della BCE di acquistare Titoli di Stato nazionali con futuri piani di acquisti di asset non fosse preclusa, potrebbero essere smorzati quei limiti imposti alla BCE che riguardano la percentuale di Titoli di Stato di ogni Paese che detiene, così consentendo alla stessa banca centrale di disporre di uno strumento aggiuntivo” per condurre le proprie operazioni.

Allo stesso tempo, è l’ammissione, “una maggiore quantità di blue bond in mano alla BCE finirebbe per diminuire la quantità di blue bond disponibile sul mercato”, a danno di quello che è il vero obiettivo del piano: creare un grande mercato di Titoli di Stato europei, che possa non solo competere con gli Stati Uniti, ma anche presentarsi alla stregua di una valida ed efficiente alternativa che finisca per battere i Treasury.

Per ora, si legge nell’analisi, “l’alternativa più vicina in Europa (ai Treasury) è rappresentata dal mercato dei Bund”, ovvero dei Titoli di Stato tedeschi. “Ma il valore totale dei Bund è di soli 2,5 trilioni di euro, rispetto ai $30 trilioni del mercato dei Treasury USA”.

Di fatto, “il mercato degli Eurobond è frammentato e piccolo: ci sono gli EU-bond, emessi per finanziare il NextGenerationEU per un valore di 540 miliardi di euro, che dovrebbe espandersi a 700 miliardi di euro entro il 2026; ci sono i bond ESM facenti capo al MES (European Stability Mechanism (ESM), che ammontano a €270 miliardi, e i bond della Banca europea degli investimenti (BEI), per €250 miliardi, per un valore totale complessivo appena superiore a €1 trilione”.

E la spina è rappresentata dal fattto che gli stessi EU bond che sono stati emessi per finanziare il piano NGEU “ non sono trattati dagli investitori come bond sovrani, ma come Titoli sovranazionali ”, per l’appunto, e dunque “non inclusi negli indici dei bond sovrani, fattore che frena la domanda e che, di conseguenza, fa sì che i loro rendimenti siano più alti di quanto potrebbero essere” se venissero considerati, finalmente, espressione di debito comune.

Blanchard e Ubide non prendono di certo alla leggera il piano proposto. Allo stesso tempo, non manca un allarme simile a quelli che sono stati lanciati più volte da Mario Draghi che, in diverse occasioni, si è fatto promotore dell’emissione di un debito finalmente comune da parte dell’Eurozona: “Sappiamo che i grandi cambiamenti istituzionali, come la creazione di un nuovo strumento finanziario o di un nuovo mercato, comportano sempre rischi, sollevando interrogativi Ma siamo convinti che non fare nulla di fronte a importanti cambiamenti geostrategici che stiamo vivendo sarebbe molto più rischioso ”. La parola, come al solito, a Bruxelles, che si vedrà se stavolta, deciderà magari di accogliere l’ennesimo appello. Peccato che, di mezzo, ci sia sempre e e come al solito il no tedesco.

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